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Under Construction: materiali per il programma regionale. Ambiente e Territorio

Under construction: qui trovi tutti i materiali preparatori elaborati fin qui, per la definizione di  un programma di alternativa per il governo del Veneto.

Di seguito il contributo su Ambiente e Territorio di Oscar Manciniunde

AMBIENTE E TERRITORIO

PREMESSA

Sono cambiati i Presidenti, ma la musica che hanno suonato in questi anni a Palazzo Balbi non è cambiata: cementificare e asfaltare. Zaia come Galan. Cambiano le Giunte, si avvicendano in carcere e agli arresti domiciliari assessori, vertici dei consorzi, delle imprese e delle società che monopolizzano le “grandi opere”, la Guardia di Finanza documenta l’infiltrazione mafiosa nel mercato immobiliare del Veneto, il dissesto idrogeologico provoca frane e alluvioni, la qualità dell’aria è la peggiore d’Europa ma l’obiettivo è sempre quello: lasciare mano libera ai progetti che le varie lobby finanziarie e del cemento e del mattone hanno in programma e che “concerteranno” con i soliti assessori.

Sui tavoli degli uffici regionali sono già pronte decine di “progetti strategici”, che impegnano il suolo veneto con svariati milioni di metri cubi di volumetrie e centinaia di chilometri di nastri d’asfalto.

Progetti che vanno approvati con le norme “semplificate” della Legge Obiettivo, degli Accordi di Programma, dei famigerati Project Financing e spesso gestite dai super-dirigenti e commissari.

Ma per riuscirci la Regione ha bisogno di “derogare” dalle norme vigenti sulla salvaguardia e sulla tutela del territorio stabilite dalle Convenzioni europee sul paesaggio e sulle aree protette, dal Codice sui Beni Culturali , dai Piani di assetto Idrogeologici e dalle stesse leggi regionali ancora vigenti.

Questo è lo scopo vero del “nuovo” PTRC di Zaia: un Piano che non è un piano. Dopo Galan, Zaia ha infatti sostanzialmente confermato un piano di cementificazione del territorio , a suo tempo sommerso da una marea di osservazioni presentate da cittadini, associazioni, forze sociali e che non riuscì nemmeno ad arrivare alla discussione in Consiglio Regionale. L’attribuzione al Piano di una inesistente “valenza paesaggistica” non ne cambia la sostanza. Il Piano, mai approvato dal Consiglio è però nei fatti operante. I suoi devastanti effetti sono sempre più contestati dalle comunità locali.

Esauritosi il grande ciclo immobiliare più lungo dal dopoguerra ora la Regione asseconda il capitale finanziario che punta sulle infrastrutture in “projet financing” in salsa veneta: un diluvio di autostrade e ospedali da rottamare, spesso oggetto di attenzione da parte della magistratura.

La rete stradale viene così progressivamente privatizzata e si sottraggono risorse alla sanità. Per i privati rischio zero e guadagno certo; per la collettività meno servizi sanitari e aumento dei pedaggi, utilità incerta e altissimo rischio di costruire un debito occulto e differito di ingenti proporzioni, addossato sulle spalle delle prossime generazioni.

Nel frattempo però cresce l’opposizione coinvolgendo in modo inedito comitati e associazioni imprenditoriali e sindacali.

E’ ormai consapevolezza diffusa che la vera ricchezza del Veneto, uno dei territori più belli d’Italia – non a caso la prima regione turistica – sta, da un lato, nel suo patrimonio artistico e storico, paesaggistico e culturale e, dall’altro, nella sua industria manifatturiera, un tempo locomotiva d’Italia.

Entrambi questi patrimoni italiani sono a rischio.

E’ in crisi la nostra industria insidiata dai mancati investimenti in ricerca e innovazione, con conseguenze drammatiche sul lavoro e l’occupazione.

E’ a rischio il nostro territorio, sempre più abbandonato al degrado e affogato da un’abnorme crescita urbana senza forma.

A forza di creare valore spostando risorse dall’industria al cemento e all’asfalto alla fine si ottiene bassa produttività del sistema. La rendita deprime l’economia mentre si vanta di salvarla. Qui risiede la sua forza ideologica, la sua intrinseca capacità di mistificare la realtà.

1.PER IL LAVORO E L’ AMBIENTE.

Non è vero che non ci siano esigenze di nuovi interventi di trasformazione delle città. Le sempre più frequenti alluvioni indicano la necessità fermare il consumo di suolo e di mettere mano a un serio programma di difesa del territorio, dell’assetto idrogeologico.

Serve poi un piano ricostruzione di ambienti compromessi, di messa in sicurezza e di riqualificazione energetica degli edifici a partire da quelli scolastici, di promozione di attività produttive innovative, di recupero e restauro architettonico degli edifici, dedicando attenzione alle esigenze abitative delle persone con bassi redditi e agli spazi pubblici.

Un grande piano di piccole opere e poi un grande piano per la mobilità sostenibile sottoponendo il Veneto alla “cura del ferro” come “cura” alla “malattia dell’asfalto.

Un grande Piano capace di dare lavoro a migliaia di giovani, a migliaia di imprese artigiane. A differenza delle “grandi opere” che, come ha messo in luce la magistratura, sono appannaggio delle solite grandi imprese, con modalità spesso corruttive e subappalti che strozzano le piccole imprese.

Un grande Piano per restaurare lo straordinario patrimonio storico, culturale e paesaggistico del nostro Veneto. Per recuperare aree degradate ed edifici dismessi.

Per bonificare aree dismesse a partire da Porto Marghera.

Un grande piano di politiche industriali tese a sostenere attività rivolte alla riconversione ecologica dell’economia e alla conversione ecologica della società.

Per un’agricoltura che garantisca la tracciabilità e la qualità dei prodotti, la certificazione, il sostegno ai Gruppi di Acquisto Solidale, la formazione di filiere corte e di mercati di prossimità, la promozione dell’agricoltura biologica e biodinamica e l’ innovazione tecnologica con l’ausilio della Facoltà di Agraria e degli istituti tecnici e professionali presenti nel territorio;

Anche attraverso l’assegnazione di terreni pubblici abbandonati a cooperative di giovani.

Per recuperare tradizioni eno-gastronomiche e zootecniche locali; vendita diretta dei prodotti; agriturismo; produzione di bioenergie; valorizzazione del paesaggio; preservazione biodiversità vegetale e animale; mitigazione dei fattori climatici; sviluppo di servizi sociali, didattici e culturali, difesa idrogeologica; presidio territoriale contro l’abbandono e il degrado.

Per sviluppare un’attività turistica sostenibile a partire dalla montagna, dalle colline e dal Delta del Po.

Per creazione nuove opportunità di lavoro e di sostegno economico.

C’è un nesso storico tra ambiente lavoro ed economia. Noi ci proponiamo di unire il “Rosso” e il “Verde”, il lavoro e l’ambiente. Unire non giustapporre. La nostra lista è nata per questo obiettivo.

 

  1. STOP ALLA NEBULOSA INSEDIATIVA,

I primi anni 2000, per effetto delle leggi Tremonti e dei relativi sgravi fiscali, hanno registrato il boom dei capannoni industriali e dell’edilizia non residenziale: oltre 165 milioni di mc nel decennio.

Rallentando la produzione di capannoni industriali, si è avviato il boom dell’edilizia residenziale, frenato solo dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008: circa 150 milioni di mc. Un’offerta abitativa che, se si fossero realizzate tipologie appropriate e se sui prezzi delle abitazioni non avesse pesantemente inciso la rendita fondiaria, considerato lo standard ottimale definito dalla Regione Veneto di 150 mc/abitante, avrebbe potuto soddisfare una domanda potenziale di 1 milione di nuovi abitanti. In realtà negli anni 2000 la popolazione del Veneto, quasi esclusivamente per effetto dei fenomeni migratori, è aumentata solo di 429.274 unità, mentre -secondo i dati dell’ultimo censimento Istat, tra il gennaio e l’ottobre 2010 si è registrata, per la prima volta in 40 anni, una decisa tendenza alla decrescita ( – 71.530 abitanti).

Sempre negli anni 2000 la Superficie Totale (SAT) delle Aziende Agricole del Veneto si è ridotta ad un ritmo di 147 milioni di mq/anno. In vent’anni dal 1990 al 2010, la SAT è complessivamente diminuita di 279.830 ettari, ovvero del 21,5 %: un’estensione superiore a quella di tutta la provincia di Vicenza.

L’impronta ecologica del Veneto, secondo il Rapporto Ambientale redatto in occasione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, è di 6,43 ettari equiv,/pro capite anno (contro una media nazionale di 4,2), mentre la “biocapacità” del nostro territorio è di soli 1,62 ettari equiv./pro capite anno. Il che comporta un “deficit” ecologico” di ben 4,81 ettari /pro capite di terreno “biologicamente attivo”.

Questi i numeri. Ma i numeri non dicono tutto. Alla bulimia edificatoria verso cui si sono indirizzate larga parte delle finanze private, è purtroppo corrisposta una sostanziale incapacità di governo delle trasformazioni territoriali a scala vasta ed una discutibile qualità urbana ed edilizia. La dispersione insediativa, in particolare, ha accentuato il rischio idraulico, la produzione di inquinanti e gas climalteranti, ha generato spreco energetico, danni alla salute e insostenibili costi per i trasporti ed i servizi alla popolazione ed ai settori produttivi. Costi che oggi incidono pesantemente sulla stessa capacità competitiva delle imprese disseminate in forma assolutamente casuale in tutto il territorio.

Ma la conseguenza forse più drammatica di questa nebulosa insediativa, che sarebbe appropriato definire “città dispersa” o “non città” piuttosto che con il termine in fondo nobilitante di “città diffusa”, è la sistematica distruzione del paesaggio storico.

Lo stop al consumo di suolo non va inteso come atto da praticare dopo aver costruito tutto il volume previsto nei Piani vigenti, ma rappresenta un nuovo moderno modello di città e di territorio. La rivisitazione degli strumenti urbanistici vigenti deve essere parte qualificante dei programmi di coalizione, qualora i Piani prevedano nuove costruzioni e impermeabilizzazioni di suoli inedificati in presenza di alloggi vuoti e di previsioni sovrastimate rispetto all’incremento demografico, giustificate dalla politica degli affari e dalla rendita, causa della crescente diffusione di aree cementificate che invade preziosi terreni naturali e agricoli. La difesa deve essere esercitata in modo particolare nei confronti di aree idrogeologicamente fragili, aree agricole, di valore paesistico e nelle periferie urbane per le quali promuovere politiche attive di infrastrutturazione verde con parchi, aree verdi di quartiere e orti urbani.

  1. PER UNA MOBILITA’SOSTENIBILE.

Purtroppo si continua a investire in autostrade anziché nel trasporto pubblico. Queste scelte stanno deteriorando ulteriormente la città, aumentando i tempi di tutti gli spostamenti e spingendo le classi meno abbienti sempre più lontano dalle città, nelle nuove lottizzazioni prive di servizi. Noi pensiamo invece che la Pianificazione urbanistica debba concepire la città mescolando funzioni diverse – la casa, il lavoro, la cultura, il divertimento. Ogni paese o quartiere deve riprodurre questi intrecci e deve essere accessibile alle fasce economicamente più deboli, da chi ha pochissimi mezzi fino a chi sta già un po’ meglio, ma certo non può permettersi i prezzi del libero mercato. I quartieri evitano di diventare ghetti se ospitano persone di ceti diversi.

E’ urgente cambiare il modello di sviluppo della Regione passando dalla gomma alla rotaia sia per le merci sia per i passeggeri. L’obiettivo è quello di conseguire una maggiore vivibilità e benessere dei Veneti. (minori patologie connesse al mal d’aria, minore congestione da traffico e tempi morti per l’economia regionale, ecc.).

Prima dunque il Servizio Ferroviario Metropolitano, poi si potrà parlare di nuove strade. Per essere credibili occorre concentrare subito tutte le risorse disponibili per finanziare treni e servizi, come richiesto dai sindacati, favorendo la concentrazione di attività e insediamenti intorno alle stazioni entro un progetto di riorganizzazione territoriale improntato alla riduzione della dispersione insediativa e del consumo di suolo. Le stazioni del SFMR devono divenire poli urbani di massima accessibilità, pienamente integrate dal punto di vista fisico e funzionale con il trasporto pubblico su gomma, con le piste e gli itinerari ciclabili e anche con la dimensione pedonale della mobilità urbana.

E’ necessario pertanto:

a)elaborare, finalmente, un vero nuovo Piano Regionale dei Trasporti (quello vigente risale al 1992, e le proposte intermedie di aggiornamento non sono mai state approvate dal Consiglio regionale). Un Piano che parta dai servizi necessari a garantire l’accessibilità e assuma la migliore utilizzazione delle infrastrutture esistenti come principio prioritario rispetto alla costruzione di nuove infrastrutture.

Un Piano fondato sulla domanda di mobilità espressa dai territori, riconosciuta attraverso un vero processo di partecipazione, in cui le scelte rispondano ad obiettivi di qualità della mobilità per tutte le componenti sociali e territoriali. Un Piano nel quale gli inevitabili conflitti trovino soluzioni coerenti con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e paesaggistica. Un Piano che parta da una conoscenza approfondita dei comportamenti, attento alla dimensione delle brevi e medie distanze, capace di raccordarsi alla dimensione locale recependone le ambizioni di coesione sociale, di qualità e di sostenibilità .

Un Piano infine nel quale riesaminare tutti i progetti infrastrutturali fin qui assentiti al fine di valutarne la fattibilità alla luce dei nuovi indirizzi comunitari (al 2050 riduzione dei consumi energetici del 70% del consumo di energia nei trasporti rispetto al 2009; al 2030 riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 30% rispetto al 2008 e riduzione del 60% al 2050) e di ricomporre un disegno di prospettiva orientato alla sostenibilità sociale, finanziarie ed ambientale.

b)Introdurre e sperimentare metodi di reale coinvolgimento della popolazione locale nei processi di decisione che riguardano la costruzione di nuove infrastrutture. Sul modello, opportunamente rivisto per adattarlo alla situazione italiana, del Débat Public previsto dalle norme francesi sulla protezione dell’ambiente. Questa prospettiva è particolarmente importante per il progetto di potenziamento ferroviario Mestre-Trieste da ripensare completamente rispetto ai progetti di linea ad alta velocità (stupidamente sovradimensionati, territorialmente devastanti e funzionalmente inutili) finora presentati, disconosciuti addirittura dal Commissario di governo (Bortolo Mainardi) incaricato di portarli avanti.

c).Riformare composizione, struttura e funzionamento della Commissione Regionale VAS, responsabile della Valutazione di impatto ambientale dei progetti e della Valutazione ambientale dei Piani e dei programmi. La riforma deve rimuovere gli evidenti conflitti di interesse.

Le opere, grandi o piccole che siano, andrebbero condizionate preliminarmente da una rigorosa analisi fatta e certificata da istituto o autorità terza, con standard internazionali, su costi/benefici.

L’unica opera realizzata è il Passante di Mestre che può essere utilmente e agevolmente utilizzata per questa analisi ( costi lievitati, difficoltà del Piano Economico Finanziario PEF, difficile bancabilità dell’opera, ricorso alla finanza pubblica e BEI, ecc.). Si tratta della opera più importante e necessaria della Regione con una rendita da pedaggi di 120 milioni di euro all’anno x 32 KM di infrastruttura che fa fatica a pagare il debito assunto con ANAS che ha anticipato il costo di 1 miliardo di euro. Temiamo che le altre infrastrutture fatte con finanza di progetto finiscono per essere pagate da risorse pubbliche, scassando i conti pubblici, per la manifesta impossibilità odierna di rispettare i criteri sin troppo ottimistici del numero di passaggi quotidiani.

d)Una grande opera stradale necessaria è finanziare adeguatamente la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’esistente, la buona tenuta delle infrastrutture attuali, la ricerca di migliorare la sicurezza stradale attraverso l’eliminazione di strozzature, punti neri e punti critici della viabilità più che utilizzare le difficoltà reali per proporre sempre nuove strade a pagamento. La competitività passa anche dai costi sempre più insopportabili dei pedaggi infrastrutturali. Vedi nota su autostrade del mese scorso sempre sul sito.

  1. e) Bisogna saturare l’esistente, prima di lanciarsi in nuove opere. Sia che si tratti di interporti, porti, aeroporti, strade è bene partire dal tasso di utilizzo delle attuali opere. Abbiamo una dotazione in più di un caso ridondante ma poco specializzata e polarizzata con la conseguenza del frazionamento e dello scarso appeal della sufficiente massa critica. Per cui nonostante la grande offerta polverizzata veneta è più conveniente economicamente ( costi, certezza dei tempi, qualità dei servizi) per i grandi operatori spedire merci dai porti del Nord Europa o del Tirreno. Saturare e polarizzare l’offerta di trasporto e di logistica sfruttando l’esistente veneto è un obbligo pieno di buonsenso.

f)Sulle infrastrutture ferroviarie e del trasporto pubblico locale TPL bisogna chiedere un salto qualitativo nella rete ( elettrificazione, doppi binari, soluzione dei nodi e dei by pass, buona tenuta delle stazioni più che la costruzione di nuove, intermodalità con gomma e acqua nei maggiori centri urbani della regione).

C’ è molto da fare anche a causa della trascuratezza decennale della Regione ( più attenta alle opere cementiere come sottopassi e parcheggi quando per pochi attimi si è dedicata al tema).

g)E’ prioritario completare il Sistema ferroviario metropolitano regionale SFMR per dare effettivamente un servizio regolare, puntuale, cadenzato. Investire in modo più deciso su ammodernamento del parco rotabile ( treni, carrozze, bus, vaporetti) con risorse pubbliche regionali che integrano il fondo nazionale..

h).Affrontare con decisione il rapporto con lo Stato a proposito di Venezia, della città metropolitana e della nuova legge speciale. A partire dalla questione delle Grandi navi. Qui occorre affrontare il problema nel quadro di due Piani ad oggi mancanti: il Piano morfologico e ambientale della laguna e il nuovo Piano regolatore portuale.

Il Piano Morfologico e ambientale è in corso di redazione da parte del Consorzio Venezia Nuova concessionario del Magistrato alle acque. Ma dalle informazioni fin qui disponibili non risulta che il Piano si occupi delle proposte di riorganizzazione del traffico crocieristico, ciascuna delle quali è suscettibile di avere impatti diversi, ma in ogni caso molto gravi sulla morfologia lagunare.

Il Piano regolatore portuale è atteso da anni, ma da anni evitato dall’autorità portuale che procede per interventi basati sul Piano del 1963. Mentre l’elaborazione del Piano morfologico langue vanno avanti i progetti di nuovi percorsi lagunari per le grandi navi e di nuovi terminal, senza alcun quadro di riferimento. I più aggressivi appaiono quelli promossi dall’Autorità portuale interessata a mantenere quanto più possibile il passaggio attraverso il bacino di S. Marco oppure lo scavo di nuovi canali di impatto non minore di quello tristemente noto del Canale dei petroli.

Il confronto tra le varie proposte di riorganizzazione non può essere ragionevolmente condotto che all’interno dei due piani sopra ricordati, che riguardano la morfologia lagunare e le attrezzature portuali e che richiedono con evidenza una stretta integrazione. Le alternative a confronto, che nascono ad oggi da interessi e soggetti diversi, devono trovare il loro limite nella sostenibilità dell’ambiente lagunare: non è la laguna che deve adattarsi alle grandi navi, ma le navi devono essere compatibili per dimensione e percorso con gli equilibri ecologici della laguna . Ne consegue la scelta di estromettere le grandi navi dalla laguna.

  1. f) Per quanto attiene al Trasporto pubblico locale riteniamo necessario favorire aggregazioni e fusioni tra i gestori, privilegiare bacini omogenei di traffico sufficientemente ampi, per aree interprovinciali, gare con le clausole sociali assunte con legge regionale, introducendo il biglietto unico per tutta la regione, , sistemi elettronici di controllo e di pagamento interoperabili, politiche tariffarie che favoriscano l’attrazione di nuova utenza soprattutto negli orari di “morbida”, allargare e potenziare il TPL a quartieri ed aree non servite con politiche di ZTL e maggiori costi della sosta, interscambio nelle principali relazioni stradali urbane, progressiva integrazione dell’offerta riducendo doppioni e duplicità inutili e costose, maggiore capillarità e frequenza del servizio per attrarre nuova utenza, aumento della velocità commerciale, finanziamento certo e strutturale del TPL.
  2. g) Per gli aeroporti: integrazione e sviluppo del sistema aeroportuale del nord est che migliori la capacità e specializzazione degli scali bilanciando il traffico e saturando maggiormente l’offerta. Non servono nuove grandi piste ma la messa a disposizione senza cannibalismo tra scali delle attuali opportunità e disponibilità. Miglioramento delle aree a disposizione dei passeggeri e lavoratori senza gigantismo e consumismo. Attenzione alla parte edilizia e di sviluppo NO FLY che deve stare dentro processi sostenibili di attività dentro i piani di intervento e piani di assetto territoriale dei Comuni. Relativamente al lavoro siamo con crisi perenni che colpiscono l’occupazione a causa del modello di liberalizzazione selvaggia sia a terra ( handler) sia nei cieli (compagnie aeree).
  3. h) Per gli interporti: migliorare la qualità dell’offerta di capannoni, recupero dell’esistente, tarare domanda/offerta, stop alla creazione di nuovi interporti. Attenzione alle condizioni di chi lavora nel settore delle merci e della logistica (i nuovi schiavi). Legislazione regionale sugli appalti e atta a favorire buona cooperazione.

3 TERRA NOSTRA. Cura e messa in sicurezza l territorio dai rischi alluvioni e frane

Il Veneto ha il “primato nazionale” della copertura di suolo. La cementificazione, con l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 è costata in tre anni 130 milioni di €

L’aumento degli immobili vuoti è stato nel decennio pari al 350%. Eppure nel Veneto si costruisce ancora, nonostante la presenza di migliaia di case vuote e il forte calo dei prezzi e delle compravendite, segni di un mercato saturo.

Nel contempo, a causa della crisi ,l’emergenza abitativa per i ceti popolari si aggrava: aumentano gli sfratti per “morosità incolpevole” e la impossibilità per tanti di sostenere gli oneri dei mutui.

Piogge, anche non eccezionali, mandano sott’acqua interi quartieri. Si allagano strade, garage, primi piani di negozi e abitazioni.

La popolazione esasperata chiede ascolto e ha il diritto di incidere sulle scelte che riguardano il proprio territorio. Da troppo tempo democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono in conflitto.

La protezione e la cura del territorio è la grande riforma e la “grande opera” di cui il Veneto ha urgente necessità. In attesa di un programma nazionale poliennale e ordinario per la difesa del suolo dalle alluvioni, dalle frane e dai terremoti ,inteso come il sistema di opere pubbliche più urgente anche per uscire dalla crisi economica, la Regione può fare molto.

La pianificazione urbanistica deve introdurre l’obbligo dell’invarianza idraulica, dell’adattamento agli effetti estremi dei cambiamenti climatici, dell’individuazione delle aree a rischio idraulico e geologico, della delocalizzazione delle abitazioni esposte a rischio di frana o alluvione.

Il Piano cave deve essere completamente riscritto in quanto parametrato sull’abnorme fabbisogno di 120 milioni di metri cubi di materiali per l’edilizia del decennio della cementificazione allegra 2000-2011 e lo proietta sul decennio a venire. Non tiene conto della possibilità d’incrementare notevolmente la quota che deriva dal recupero di inerti da costruzione e demolizione, come avviene in altri paesi europei dove le percentuali di recuperato superano il 90%.

Importanti opere di difesa idraulica da tempo indicate dagli esperti devono finalmente essere realizzate dirottando su di esse i finanziamenti concessi per le opere autostradali.

I sindaci devono essere sostenuti nella loro azione coinvolgendoli nell’organizzazione della prevenzione e della protezione civile.

Concreta deve essere la solidarietà con le comunità colpite dalle alluvioni o frane.

4 – VERSO RIFIUTI ZERO: una scelta per l’ambiente, per creare lavoro, una scelta di civiltà

La riconversione ecologica passa anche da qui, da progetti integrati dentro una strategia complessiva che coinvolge i settori: ambiente, ricerca, formazione e attività produttive, dentro un processo culturale per modificare cattive abitudini e stili di vita. La Regione deve sostenere gli sforzi dei comuni tesi a migliorare il sistema di raccolta differenziata “porta a porta” integrale che, oltre a tutelare l’ambiente, responsabilizza i cittadini e costruisce senso civico. I nuovi Consigli di Bacino devono lasciare ampia sovranità ai comuni nella definizione dei Piani Finanziari e delle modalità di raccolta purché esse siano finalizzate all’incremento della raccolta differenziata. A questo fine la Regione dovrà impegnarsi a finanziare “Centri del Riuso” e della riparazione che possono dare occupazione ad abili artigiani e cooperative di giovani.

Alla Regione il compito di programmare e incentivare progetti integrati volti a valorizzare la ricerca sulla “chiusura del ciclo”, per recuperare, e far rinascere a nuova vita, quanta più materia possibile. Incentivare e potenziare una filiera industriale del riciclaggio per creare nuova occupazione e le condizioni per liberarci progressivamente dalla necessità dei vecchi impianti tradizionali del novecento, pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Infine puntando sulla progressiva dismissione degli inceneritori.

5 – Per la Qualità dell’aria e la tutela della salute

L’inquinamento dell’aria riduce l’aspettativa di vita, causa malattie croniche delle vie respiratorie e cardiovascolari. La formazione e la diffusione delle polveri inquinanti coinvolgono fenomeni a più livelli di scala, dal locale all’interregionale. Questo è particolarmente vero nella pianura padana, anche per la sua conformazione orografica particolarmente sfavorevole alla dispersione degli inquinanti. In quest’area milioni di persone sono esposte a concentrazioni di polveri inaccettabili, per rientrare nei limiti europei sul numero di superamenti, la media annuale del PM10 dovrebbe scendere dagli attuali 35-50 fino a circa 28 µg/m3. Per abbassare i livelli d’inquinamento si può ottenere molto intervenendo su due settori su cui si è fatto ancora poco: trasporto merci su gomma e ammoniaca da allevamenti intensivi. Occorre quindi operare al fine di ridurre i km percorsi dalle merci, soprattutto gli alimenti (favorendo le produzioni locali) e i materiali per l’edilizia; spingere sul governo per l’adozione della direttiva europea Eurovignette (i camion più inquinanti pagano un pedaggio extra) per incentivare il trasporto su rotaia e il rinnovo dei mezzi pesanti circolanti; inserire le buone pratiche zootecniche nei disciplinari, per la riduzione delle emissioni di ammoniaca (precursore delle polveri). Resta aperta, specie nelle città grandi e medie, la questione della riduzione del traffico privato su gomma, una sfida urbanistica che si impernia sul recupero dei quartieri come spazi vitali: i servizi e i luoghi di socialità devono essere a portata di pedone e ciclista, in zone sicure dove l’auto è fisicamente costretta a muoversi con prudenza.

6 – Acqua bene comune

La gestione delle risorse idriche rappresenta uno dei principali contenuti della sfida nei prossimi anni. Tranne alcune e che hanno avviato concreti progetti legislativi e amministrativi di ripubblicizzazione dell’acqua, gli esiti referendari del 2011 sono ancora lontani dalla loro effettiva applicazione. Anzi, sull’onda delle difficoltà’ di bilancio sta riprendendo fiato una campagna strumentale tesa a nuove privatizzazioni nel settore della gestione dei servizi pubblici locali che deve essere respinta.

Insieme alle altre realtà’ e movimenti che si battono per acqua bene comune dobbiamo pretendere il pieno rispetto dei 2 referendum. I ricavi della tariffa non possono essere utilizzati per coprire i buchi di bilancio degli enti locali.

Più in generale è necessaria una forte azione per la tutela dell’acqua: riportare i fiumi e i laghi veneti ad buon stato ambientale e proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini.

La Regione deve essere impegnata a sostenere i “contratti di fiume”.

7- Energia sostenibile

Con il cosiddetto “pacchetto clima-energia 20-20-20”, nel dicembre del 2008 l’UE ha adottato una strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici che fissa obiettivi ambiziosi per il 2020. Lo scopo è indirizzare l’Europa sulla giusta strada verso un futuro sostenibile, sviluppando un’economia a basse emissioni di CO2 improntata all’efficienza energetica.

Tale obiettivo dovrà essere perseguito, da parte dei paesi membri, mettendo in atto le seguenti misure: ridurre i gas a effetto serra del 20%; ridurre i consumi energetici del 20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica; soddisfare il 20% del fabbisogno energetico mediante l’utilizzo delle energie rinnovabili. In linea con le nuove strategie europee e con gli impegni presi a livello nazionale con la ratifica del protocollo di Kyoto, sottoscritto dall’Italia nel 1998, le Regioni sono tenute ad adottare Piani energetici coerenti.

È nel potere delle Regioni una programmazione energetica che, oltre all’adozione delle nuove tecnologie energetiche rispettose dell’ambiente, incentivi misure per un forte risparmio nei consumi individuali e collettivi, sostenga centri di ricerca e aree di sviluppo per l’innovazione e la produzione dei dispositivi energetici. La Regione dovrà sostenere e finanziare adeguatamente i PAES dei Comuni che hanno adottato il Patto dei Sindaci.

E’ necessario accelerare la fase di transizione verso un nuovo modello energetico, non più fondato sulle grandi centrali ma sulla generazione distribuita, l’efficienza e tutte le fonti energetiche rinnovabili (FER).

Per queste ragioni riteniamo indispensabile chiudere definitivamente il capitolo dei progetti di megacentrali particolarmente impattanti. Consideriamo quindi un successo del movimento di lotta, al quale abbiamo contribuito, l’aver bloccato lo sciagurato progetto di alimentare a carbone la centrale Enel di Porto Tolle. Occorre che la Regione non solo ne prenda atto ma s’impegni a realizzare un progetto alternativo per quell’area capace di produrre occupazione qualificata nel rispetto dell’ambiente. In tale contesto diventa finalmente improcrastinabile l’istituzione del Parco interregionale del Delta del Po, come peraltro previsto dalla legge nazionale. Questo per coniugare il contrasto ai cambiamenti climatici, attraverso la riduzione delle emissioni di CO2, la sostenibilità ambientale e i vantaggi economici-occupazionali.

Lo sviluppo di efficienza energetica e FER, infatti, rappresenta una straordinaria, e probabilmente irripetibile, opportunità di sviluppo qualificato per il nostro sistema produttivo basato sulla creazione di capacità scientifiche, tecnologiche e produttive; consente di abbattere le importazioni energetiche e delle nuove relative tecnologie, e costituisce una grande leva per la creazione di nuova e qualificata occupazione. Tale sistema energetico è il presupposto per avviare un modello alternativo di sviluppo, sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

Per accelerare la fase di transizione e coglierne appieno tutti i vantaggi è necessario incentivare in modo strutturale l’efficienza, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili in tutti i settori: trasporti, logistica, riscaldamento, raffreddamento, efficienza degli edifici, dei cicli produttivi e dei prodotti e promuovere diversi stili di vita e di consumi. Allo stesso tempo, avendo l’obiettivo di raggiungere il 100% di produzione elettrica da rinnovabili, è necessario ridurre, fino ad azzerare, il ricorso alle fonti fossili.

La strada che porta alla produzione di energia sostenibile passa attraverso il progressivo superamento della produzione di energia concentrata in grandi impianti, in particolare alimentati da combustibili fossili che producono drammatiche ricadute in termini sanitari ed ambientali.

Il futuro sta nella pianificazione energetica a livello nazionale ed europeo, che deve promuovere la “piccola” generazione diffusa ed il coinvolgimento dei cittadini con azioni congiunte di informazione e sostegno al risparmio energetico . L’incentivo all’ efficentamento del costruito, inoltre, è in grado di mettere sul campo ingenti risorse pubbliche (vedi UE che destina il 5% dei suoi fondi proprio a tale scopo).

Per raggiungere questi obiettivi è necessario, altresì, promuovere ed incentivare l’innovazione tecnologica e la ricerca, nonché creare occupazione nella conversione ecologica del Paese seguendo un efficace “Piano Verde per il Lavoro”.

8– Inquinamento elettromagnetico

Nell’affrontare le tematiche inerenti i campi elettromagnetici e l’esposizione della popolazione la strada da perseguire è quella del principio di precauzione, sia per la radio frequenza (cellulari, cordless, wifi) che per la bassa frequenza (cabine elettriche, elettrodotti).

L’avvento della recente tecnologia di quarta generazione 4G (LTE) attualmente in fase di implementazione, sta richiedendo nuovi impianti e nuove antenne (molto più potenti di quelle usate per il GSM e per il 3G) e quindi l’individuazione di ulteriori luoghi adatti alla loro installazione, con conseguente incremento del fondo elettromagnetico.

Per governare i processi di installazione i Comuni devono essere aiutati a dotarsi di un Piano della Telefonia Mobile progettato da personale qualificato, diverso dalle ARPAV (istituzionalmente demandate alle attività di verifiche e controllo), che abbia i requisiti di prevenire le criticità e consenta di programmare le installazioni in modo da rendere minima l’emissione elettromagnetica per la popolazione. Un Piano che favorisca, ove possibile, i siti di proprietà pubblica che permettono, tra l’altro, di veicolare nelle casse comunali gli introiti dei canoni d’affitto per gli impianti.

Per quanto riguarda invece l’implementazione di reti wifi pubbliche si deve cercare di incentivare quelle in ambienti outdoor (piazze, parchi) riservando la connessione via cavo agli ambienti indoor (soprattutto scuole, biblioteche, aule studio).

9 – Parchi e biodiversità per curare la terra

Le aree naturali protette, e in particolare i parchi, sono luoghi di conservazione delle risorse ambientali, di riscoperta del rapporto profondo tra l’uomo e la natura, di valorizzazione del ruolo della scienza, di sperimentazione di una gestione territoriale alternativa all’attuale perché fondata non sulla violenza nei confronti della natura, ma sull’armonia: il parco come modello di gestione applicabile anche al resto del territorio. Quest’idea deve essere alla base dell’azione dei comuni e delle regioni: i numerosissimi comuni sul cui territorio si estende un’area protetta devono rivendicare il loro ruolo fondamentale di partecipazione alla gestione nel segno non della tutela di bisogni localistici, ma del diritto di contribuire alla realizzazione dell’interesse generale; la Regione, sia nell’iniziativa legislativa sia soprattutto nell’azione di governo, deve dar vita a efficienti sistemi che, per un verso, contribuiscano alla costruzione del sistema nazionale delle aree protette e siano in grado di guardare all’Europa e al mondo e, per altro verso, si inseriscano, come elementi di punta, nell’intero tessuto regionale.

10 – Politiche locali per un’agricoltura sostenibile

A livello locale si possono praticare scelte concrete a sostegno di un’agricoltura sana, legata al territorio, sostenibile: individuare aree per mercati agricoli a Km0, per prodotti da filiera corta e biologici, locali ad uso gratuito o affitto simbolico per i GAS, istituire corsi e lezioni su alimentazione e territorio, spreco di cibo; adottare strumenti urbanistici finalizzati al blocco del consumo di suolo agricolo e a sostegno del recupero dei “fabbricati rurali”; applicare nuove disposizioni contenute nel “Decreto del fare” per la vendita diretta presso locali dell’azienda agricola, sagre e fiere ; istituire e regolamentare gli “orti urbani” in aree pubbliche inutilizzate e degradate.

La Regione deve sostenere I comuni coordinando e promuovendo iniziative in materia di agricoltura, valorizzando il territorio comunale puntando ad un incremento di produzioni agricole, zootecniche e casearie, creando opportunità occupazionali.

L’agricoltura sociale, un insieme di processi e azioni che utilizzano le attività agricole per promuovere percorsi formativi e di lavoro, per accompagnare azioni terapeutiche, viene sostenuta e diffusa attivando convenzioni, non sempre onerose, con imprese e cooperative agricole per l’impiego di persone disabili o con disagio sociale e/o come forma di aggregazione sociale.

11 – Governo dell’ambiente globale. Il ruolo dei governi locali

Dobbiamo riconoscere alle Nazioni Unite e agli accordi e convenzioni ambientali globali un ruolo di rilievo per custodire il clima, gli oceani, la flora, la fauna, l’aria, il paesaggio. Tuttavia, in tutti gli ambiti, formali o informali, della discussione sull’ambiente globale (dalla desertificazione ai cambiamenti climatici, dalla biodiversità alle emissioni di inquinanti) c’è una forte esigenza di coinvolgimento dei governi locali e regionali, oltre che delle imprese e della società civile. In effetti, le città sono i luoghi in cui si concentrano le attività economiche e commerciali e i soggetti che subiscono gli impatti delle stesse attività. Occorre quindi un maggiore integrazione delle città nel governo mondiale dell’ambiente e una maggiore attenzione dei governi locali alle questioni ambientali globali.

Se le città sono parte del problema ambientale, devono essere anche la soluzione. Le città hanno compreso questo messaggio già molti anni fa, quando assunsero l’impegno volontario di ridurre il livello delle emissioni (Cities for Climate Protection Campaign). Da allora sono seguite numerose iniziative, tra cui il Cities for Climate Protection promosso da ICLEI e UNDP o le iniziative in ambito UE del Committee of the Regions, incluse quelle promosse da ARLEM – Assemblea regionale e locale euromediterranea. È ora giunto anche il momento, irrimandabile, di promuovere e gestire piani e programmi di adattamento agli impatti già visibili, o previsti, dei cambiamenti ambientali globali, con un impegno congiunto della politica, delle istituzioni, dell’economia, dei cittadini anche attraverso il rilancio delle Agende 21 locali.

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Ambiente e rifiuti: un binomio possibile.

4 giugno 2013 ore 21.00

sala Aldo Moro Mogliano Veneto (TV)

rifiutiNe parliamo con:
Vincenzo Genovese Autore delle osservazioni di SEL al piano rifiuti

Oscar Mancini Responsabile ambiente e territorio SEL Veneto

Giorgio Massimi Comitato NO INCENERITORE

Luigi Amendola Capogruppo di SEL in Consiglio Provinciale

Luca de Marco Coordinatore Provinciale di SEL

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Smart City Treviso 6 novembre 2012

Introduzione di Stefano Dall’Agata

Buongiorno a tutte e a tutti, vi do il benvenuto e mi presento sono Stefano Dall’Agata del Coordinamento Provinciale Sinistra Ecologia Libertà Treviso, questa è un’iniziativa pensata e voluta da Sinistra Ecologia Libertà Circolo di Treviso e Federazione Provinciale di Treviso, in collaborazione con il Forum SEL Beni Comuni Ambiente Territorio Veneto e il Gruppo SEL Provincia di Treviso

Vorrei inquadrare il temi di oggi all’interno del concetto di sviluppo Sostenibile “tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali” (Rapporto Brundtland – ONU 1987).

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Città Intelligenti per un Futuro Sostenibile

TREVISO SMART CITY
Città intelligenti per un Futuro Sostenibile

Treviso 6 novembre ore 20.45
Sala Hotel Continental,

Via Roma 16
Treviso

Introduce e Presiede
Stefano Dall’Agata
Coordinamento Provinciale SEL Treviso

Relazione “Smart City”
Alessandro Zan
Assessore Ambiente Comune di Padova

Comunicazioni:

“Energia tra Regione ed Enti locali”
Oscar Mancini
Forum SEL BETA Regione Veneto

“Mobilità Sostenibile e Vivibilità Urbana”
Stefano Fumarola
Direttivo SEL Treviso

“Transition Town”
Said Chaibi
TILT Nazionale

Dibattito

Conclusioni:

Luigi Amendola
Capogruppo SEL Provincia di Treviso

Organizzato da:

Sinistra Ecologia Libertà
Circolo di Treviso
Federazione Provinciale di Treviso

Forum SEL Beni Comuni Ambiente Territorio Veneto

Gruppo SEL Provincia di Treviso

Su Facebook:

Martedì 6 novembre alle ore 20.45 in UTC+01 presso Hotel Continental, Treviso

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14 gennaio a Vicenza: FUTURO AL LAVORO

Oltre la crisi: 

FUTURO AL LAVORO

un nuovo paradigma di sviluppo per il Veneto.

Sabato 14 gennaio 2012

ore 9.30-17.30

Villa Tacchi, Viale della Pace, 89, Vicenza

ore 09.30

Apertura dei lavori

Lalla Trupia

Sessione I

Dalla società del ben-avere a quella del ben-essere

Stefano Bartolini Università di Siena

Illustrazione documento su economia e lavoro

Alessandro Sabiucciu Comitato scientifico nazionale SEL

Intervento

Achille Variati Sindaco di Vicenza

Dibattito

Pausa pranzo

Sessione II

Contro l’economia virtuale, per la materia vivente

Marcello Buiatti Università di Firenze

Le buone pratiche della green economy

Alessandro Zan Assessore ambiente e lavoro Padova

Dibattito

ore 17.00 Conclusioni

Fabio Mussi Presidenza nazionale SEL

Partecipano fra gli atri:

Luigi Amendola (cons. prov. Treviso)

Michele Bertucco (candidato sindaco centrosinistra Verona)

Giuseppe Bortolussi (CGIA Mestre)

Adone Brandalise (docente Università Padova)

Andrea Castagna (segr. prov. CGIL Padova)

Ousman Condè (pres. unione immigrati Vicenza)

Heidi Crocco (ass. politiche sociali Cavarzere)

Valentina Dovigo (dir. naz. Legambiente)

Daniele Giordano (segr. reg. FP-CGIL)

Oscar Mancini (pres. com. NO Nucleare)

Giorgio Molin (segr. reg. FIOM)

Giovanni Nalin (cons. com. Rovigo)

Don Dino Pistolato (Caritas)

Ilario Simonaggio (segr. reg. FILT-CGIL)

Silvano Veronese (CNEL)

Emilio Viafora (segr. reg. CGIL)

Gianni Zagato (coord. com. scient. naz. SEL)

Rita Zanutel (vicesindaco San Stino di Livenza)

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TERRA NOSTRA Contrastare il grande saccheggio del territorio veneto

Pubblichiamo gli Atti del Convegno

TERRA NOSTRA
Contrastare il grande saccheggio
del territorio veneto

Atti Convegno Terra Nostra Rovigo

Relazioni al Seminario di lavoro organizzato dal
Coordinamento regionale Veneto di Sinistra Ecologia e Libertà,
sabato 22 ottobre 2011, presso la Sala Convegni dell’Archivio di Stato di Rovigo

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Senza Energia Nucleare Liberi


Centro Sociale -Piazza Donatori di Sangue
Mogliano Veneto
22 aprile 2011 ore 20,30

INTRODUCE:
– LUIGI AMENDOLA: candidato Sinistra Ecologia Libertà per le elezioni provinciali nel collegio di Mogliano Veneto


PARTECIPANO:
– OSCAR MANCINI: portavoce comitato veneto “Vota Sì per fermare il nucleare” – ragioni referendarie
– DAVIDE SABBADIN: Legambiente Veneto: perchè si  alle energie rinnovabili
– STEFANO DALL’AGATA: portavoce comitato trevigiano “Vota Sì per fermare il nucleare” – rischi nucleari

– CAROLA ARENA: portavoce del centro-sinistra di Mogliano Veneto

CONCLUDE:

– FLORIANA CASELLATO: candidata Presidente della Provinciale di Treviso

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I nuclearisti giocano a scacchi con il nostro futuro

Proposte ragionevoli, per oggi e per domani, in risposta alla campagna dei persuasori occulti.

di Oscar Mancini

Dopo oltre vent’anni di silenzio ritornano. Per farsi sentire non badano a spese. I colossi dell’energia hanno infatti deciso d’investire 6 (sei) milioni di euro in una grande e suadente campagna pubblicitaria a favore del nucleare . (La fonte è il Sole 24 ore. ) In questi giorni sugli schermi televisivi appare una partita a scacchi. Primissimo piano sulla scacchiera e sulle mani che muovono i pezzi. I due interlocutori accompagnano ogni mossa con una affermazione. Dice uno dei giocatori: “Sono contrario all’energia nucleare perché mi preoccupo dei miei figli.” Talmente generico che appare quasi come un pregiudizio. Facile la replica del secondo scacchista che afferrando il cavallo afferma : “Io sono favorevole: anche loro avranno bisogno di energia e tra 50 anni non potranno più contare solo sui combustibili fossili.” Possiamo forse negare che il petrolio è in via di esaurimento? Commovente: si prodigano per il futuro dei nostri figli. Naturalmente gli spot televisivi sorvolano sui problemi della sicurezza e minimizzano il non risolto problema dello smaltimento definitivo delle scorie, lungamente e altamente radioattive. Eppure non c’è un solo sito sicuro e funzionante in tutto il mondo e gli USA hanno abbandonato, dopo anni d’inutili esperimenti, costati 8 miliardi di dollari, il deposito di Yucca Mountain in Nevada.In questo spot non viene toccato il tema dei costi. Forse perché autorevoli studi, come il recente rapporto del MIT, Massachustts Insitute of Tecnology, valutano il costo dell’elettricità da nucleare maggiore di quello prodotto sia dal gas che da fonti rinnovabili. Non è un caso che il 61% della nuova potenza elettrica installata in Europa nel 2009 è rappresentata da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Ma, non possiamo certo pretendere che queste informazioni ci vengano fornite da chi punta a fare affari con il nucleare. Domandiamoci piuttosto perché sentono il bisogno di convincerci sulla bontà di un ritorno al nucleare nel nostro paese. Non si sentono al riparo dalle decisioni già assunte dal governo?

Tre notizie sembrano preoccupare realmente la lobby dell’atomo. La prima. Ieri (21 dicembre) sono state consegnate alla Camera dei deputati le firme a sostegno della proposta di legge d’iniziativa popolare“Sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima”.Decine di migliaia di firme, di cui oltre 8000 di cittadini del Veneto, per dire no al nucleare e si alle energie rinnovabili. Un’occasione per il tanto vituperato parlamento di recuperare credibilità affrontando i problemi veri sollevati dai cittadini. La seconda. La recente delibera del governo non convince le Regioni che si riservano un diritto di veto, territorio per territorio,sul nostro “rinascimento atomico”. La terza. L’appello di 200 imprenditori guidati dal vice Presidente di Confindustria Pistorio, contro la follia del nucleare. In particolare questi ultimi sostengono che non si possono sommare tutti gli investimenti possibili, occorre scegliere. Non ci sono soldi per investire su tutto. L’appello recita “Lo scenario prospettato dal Governo, 25% di elettricità atomica e 25% di rinnovabili al 2030, comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie (efficienza energetica e rinnovabili). La costruzione delle centrali nucleari interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare. Questo perché il costo delle nuove centrali è estremamente oneroso”. In sostanza la scelta nucleare determinerebbe, necessariamente, una sottrazione di intelligenze, di risorse economiche, per giunta durante la peggiore crisi degli ultimi due secoli, rispetto ai più promettenti settori dell’efficienza e delle rinnovabili che saprebbero attivare, come in parte stanno già facendo, ricadute economiche e occupazionali immediate.

Considerato anche il limitato consenso nel Paese, pensiamo che il progetto nucleare si arenerà, ma avrà fatto perdere all’Italia tempo e ricchezze. Per questa ragione ci siamo rivolti al Parlamento con una proposta di legge che si propone non solo l’obiettivo di bloccare il tentativo di tornare al nucleare in Italia ma anche e soprattutto quello di mettere ordine nelle scelte degli investimenti, occupazionali, ambientali e di tutela della salute che sono il risultato di un’azione coerente di salvaguardia del clima, almeno per la parte che dipende da noi. Ci rivolgiamo però anche al Presidente Zaia perché anche nel Veneto, come sta facendo per esempio l’Emilia Romagna, si adotti un Piano energetico regionale improntato all’efficienza energetica: un piano di riqualificazione energetica degli edifici che ne riduca i consumi di elettricità e calore e sposti le attività del settore edile verso la manutenzione e riqualificazione del già costruito abbandonando la cementificazione del territorio (le recenti alluvioni non hanno insegnato nulla?); un piano per sottoporre il Veneto ad “una cura del ferro” per spostare la mobilità delle persone dalla gomma al ferro, metropolitana di superficie e tram, e al cabotaggio sulle autostrade del mare e le idrovie, concentrando in questa direzione gli investimenti anziché su strade e nuove devastanti autostrade.

E poi serve una più attenta pianificazione per l’installazione delle fonti rinnovabili (solare termico e fotovoltaico) privilegiando l’istallazione sui capannoni e le case ed escludendo i terreni agricoli e ancora, mini impianti geotermici, eolici e idroelettrici su piccoli salti.

Pensate forse che questo sia il programma dei soliti ambientalisti sognatori che, come ironizza Tremonti, “si trastullano con i mulini a vento”? Allora vi consiglio per le vacanze natalizie una interessante lettura che vi spiazzerà. Si tratta delle “Proposte di Confindustria per il Piano Straordinario di Efficienza Energetica 2010”. Lo studio, ricco di analisi di dettaglio, giunge alle seguenti conclusioni di sintesi: “Il complesso delle misure di efficienza energetica nei vari settori industriali porterebbe ad un risparmio potenziale del nostro paese nel periodo 2010 – 2020, pari a oltre 86 Mtep di energia fossile, per raggiungere la quale si attiverebbe un impatto socio-economico pari a circa 130 miliardi di euro di domanda, un aumento della produzione industriale di 238,4 miliardi di euro ed una crescita occupazionale di circa 1,6 milioni di unità di lavoro standard”. Dunque unmilioneseicentomila posti di lavoro contro i diecimila propagandati dai promotori del nucleare. Per giunta con un effetto positivo sul bilancio statale. Non è materia sufficiente per aprire un dibattito pubblico?

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ALLUVIONI E CONSUMO DI SUOLO

Di Oscar Mancini. (CGIL Veneto)

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Di nuovo sott’acqua. Capita più o meno ogni anno. Ogni volta ci stupiamo di fronte alle vittime e ai danni. Ma non ne traiamo alcuna lezione. Finita l’emergenza torniamo ad assumere gli stessi comportamenti che determinano l’accresciuta vulnerabilità del territorio. Dimentichiamo che all’origine dei nostri guai vi è una dilagante cementificazione del territorio, il disboscamento selvaggio lungo i fiumi, la mancanza di una manutenzione geologico – idraulica del Bel Paese già di per sé strutturalmente fragile. In sostanza permane nelle politiche pubbliche e private un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che sulla convivenza tra uomo e natura. Era il 2004 quando la prestigiosa Accademia Olimpica di Vicenza lanciava l’allarme: nell’ultimo mezzo secolo la popolazione della provincia berica è cresciuta del 32% mentre la superficie urbanizzata ha subito l’impennata del 324%: dieci volte tanto. Qualche tempo dopo con mirabile capacità di sintesi scriveva il vicentino Gian Antonio Stella sul Corriere: “Un blocco di cemento di 1070 metri cubi: è questa la dote portata alla provincia di Vicenza da ogni abitante in più dagli anni novanta. Crescita demografica: più 52.000 abitanti pari al 3%. Crescita edilizia: 56 milioni di metri cubi, pari a un capannone largo 10 metri, alto 10 e lungo 560 chilometri. Ne valeva la pena?” Era il 24 maggio del 2006 quando la CGIL vicentina denunciava “un consumo di territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi. Una crescita urbana senza forma, che ha impermeabilizzato il territorio, rallentato la ricarica delle falde e nel contempo provoca frequenti esondazioni dei corsi d’acqua”. Da questa analisi ne faceva seguire una critica all’impostazione del Piano Territoriale della provincia (PTCP) e la proposta di una più saggia pianificazione urbanistica fondata sul “blocco del consumo di suolo, il riuso delle aree dismesse in luogo dell’espansione urbana” e un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare al posto di opere di canalizzazione e arginatura che producono solo un senso di falsa sicurezza. Era il 23 giugno 2009 quando oltre cento associazioni sottoscrivevano un articolato ed approfondito documento di critica al Piano Territoriale della Regione Veneto (PTRC) “che lascia briglia sciolta a livello locale a tutti gli interessi immobiliari sul martoriato territorio veneto”. Sulla base di quel documento furono presentate oltre 15000 osservazioni a un piano che contiene affermazioni francamente aberranti come quando si afferma (pag. 36) che c’è ancora tanta campagna nel Veneto sicchè il consumo di suolo non è un problema reale, poiché la percentuale di terreno rurale è di molto superiore a quella delle terre coltivate: come se l’attività economica del settore primario fosse l’unica ragione della salvaguardia del suolo dall’urbanizzazione, se l’obiettivo non dovesse essere quello della difesa del territorio rurale nel suo complesso, e se non fosse già gigantesca l’area impermeabilizzata e sottratta al ciclo naturale. E’ da questo approccio che nel Veneto nascono come come i funghi mega operazioni immobiliari quali “Veneto city, Quadrante Tessera, Città della Moda, Base Usa, Motor City “per assecondare i progetti degli immobiliaristi e soddisfare le aspettative della rendita. Non saranno le alluvioni a fermare gli interessi della rendita. La speranza è riposta nella capacità dei cittadini di trarre insegnamento dal sempre più frequente manifestarsi del dissesto idrogeologico per rivendicare una svolta nella politica urbanistica della Regione, delle Province e dei Comuni ,che concedono con troppa facilità licenze edilizie per fare cassa e coprire i buchi di bilancio. Per impostare una diversa politica della mobilità che privilegi la rotaia in luogo del trasporto su gomma, il collettivo al posto dell’individuale. Se guardiamo prioritariamente alla domanda sociale non sarà difficile rendersi conto che all’interno del territorio urbano vi sono ampi spazi per soddisfare le esigenze presenti e future: molte aree hanno perso le originarie funzioni e possono essere trasformate,intere periferie necessitano di essere riqualificate. In sostanza bloccare l’espansione si può se consideriamo il territorio come un bene comune e non come una riserva di caccia per gli investimenti immobiliari. La sfida per il domani riguarda un ripensamento complessivo dell’economia e delle forme d’insediamento sul territorio che ne sono la concretizzazione materiale. La sapiente opera dell’uomo nel corso dei secoli ha reso il Veneto è uno dei territori più belli d’Europa. Ricco di storia, arte, cultura, paesaggio. Non a caso è la prima regione turistica d’Italia. Ma, da alcuni decenni ha contratto una malattia molto grave: il consumo di territorio. Un cancro che avanza ogni giorno a ritmi impressionanti. Non è la denuncia di un pericoloso ambientalista bensì dell’ISTAT. Il suo rapporto annuale ci segnala che “in Veneto, che già nel 1991 condivideva con la Lombardia il primato di regione “più costruita” d’Italia, le superfici edificate crescono ancora del 5,4%, approssimando situazioni di saturazione territoriale. [ ..] il Veneto è anche la regione dove si è costruito di più (oltre 100 Km2 di nuove superfici edificate).” L’ ISTAT prosegue con un ammonimento: “la domanda di nuova edificazione segnala un cambio di paradigma, che rischia di mettere in crisi la stessa immagine storica dei territori”. Un linguaggio davvero inedito per il nostro compassato Istituto di Statistica ampiamente motivato da uno sconsiderato spreco di territorio, causa primaria del dissesto idrogeologico. Passata l’emozione per l’emergenza alluvione ce ne ricorderemo?

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A Conegliano per l’energia pulita

Sì all’energia pulita

NO AL NUCLEARE

 

giovedì 4 novembre ore 20.30

la nuova proposta di legge popolare sulle energie rinnovabili


Presso la sala dell’Hotel Cristallo

Corso Mazzini 45 Conegliano

relatori:

Stefano Dall’Agata

Consigliere Provinciale di Sinistra Ecologia Libertà

Oscar Mancini

Responsabile Regionale Ambiente CGIL Veneto

Organizza Sinistra Ecologia Libertà Conegliano

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