a Vittorio Veneto: Riprendiamoci la città

RIPRENDIAMOCI LA CITTA2-page-001

Secoli di storia hanno consegnato a Vittorio un ricco patrimonio architettonico e una eccezionale struttura urbanistica policentrica, in cui la  fusione degli insediamenti originari ha sviluppato  un tessuto a maglie larghe, dove l’alternanza tra pieni e vuoti è un tratto identitario irrinunciabile e dove il verde non è un “vuoto” da riempire, ma l’elemento costitutivo di un irrepetibile equilibrio.

Tutta la città offre spazi di qualità, sia costruiti (abbondanza di contenitori storici, edilizia con ridotta densità abitativa e standard di verde elevati), sia naturali (le colline che entrano dentro la città e ne diventano parte, le aree agricole ancora in buona parte integre a ovest della ferrovia, nei prati del Meschio, a Vendran), sia urbani (parchi, orti, assi lungo i corsi d’acqua) che creano pause di verde nella continuità edilizia e che, per quanto parzialmente invasi, sono ancora riconoscibili intorno ai primitivi nuclei storici.

Questa  struttura urbana si è mantenuta abbastanza integra, insieme a una  certa omogeneità  architettonica, sia perché è stata “saltata” la fase dell’economia della  grande impresa, che ha stravolto per sempre  molte città venete, sia perché quasi  tutte le amministrazioni hanno sufficientemente rispettato la memoria urbanistica cittadina, evitando eccessi di consumo del suolo e interventi distruttivi.

Certo gli strappi ci sono stati, prima nei paranoici anni sessanta e poi negli ultimi 15 anni, quando i guasti sono stati solo in parte contenuti dai morsi della crisi, che ha bloccato (speriamo definitivamente) mostri come la torre di 33 metri in centro o il mega-complesso ex-carnielli, ma non lo stravolgimento ambientale del traforo di S. Augusta.

Ora però la nostra città si trova  di fronte a uno snodo storico fondamentale, che pretende un urgente ripensamento della sua funzione/immagine.

Si è infatti definitivamente esaurita la fase otto/novecentesca in cui Vittorio era un rilevante centro industriale. Negli ultimi tempi sono state dismesse  tutte le aree industriali  collocate nel tessuto cittadino (Carnielli, Cini, Morassutti, Colussi, Italcementi, Snia, per citare solo le più grandi), liberando una enormità di spazi.

Nel 2013 si  è conclusa  dopo 60 anni anche la fase “militare”, con il trasferimento del I FOD (ex V Corpo d’Armata) e la chiusura di tutte le imponenti strutture militari.

La fine della Vittorio Veneto industriale e militare ci  obbliga a inventare una nuova “idea” per la nostra città, se non vogliamo lasciarla annegare  nei suoi vuoti.

La situazione è  ricca di opportunità,  ma anche di rischi.

L’abbondanza di volumetria libera e la qualità urbana generale potrebbero infatti consentire di identificare Vittorio come  una di quelle aree che a livello europeo  vengono definite “Aree di riserva dello sviluppo”. Decentrate rispetto alle zone metropolitane ma ad esse ben collegate, vengono apprezzate perché dotate di spazio di qualità in cui insediare residenze di buon livello, sviluppare potenzialità turistiche, attivare sedi e servizi di produzione immateriale, fondati su innovazione e  ricerca.

Valorizzando e potenziando queste specificità  si potrebbe dare a Vittorio una prospettiva di sviluppo fondato sulla qualità del vivere e del produrre, aperto ai giovani e alle esperienze innovative.

Va però tenuto ben presente che c’è il rischio che questa enorme ricchezza di spazio possa trasformarsi in un grande affare per pochi, o in una miserabile svendita  per tamponare il bilancio comunale.

Sono perciò necessarie scelte di visione politica e di metodo ragionate e programmate.

Non è corretto procedere alla cieca e mettere ogni volta i cittadini di fronte al fatto compiuto con la scusa dell’urgenza: il PAT, la riconversione delle caserme, i trasporti e le relative infrastrutture vanno messi a sistema nell’ambito di un progetto strategico e di largo respiro per la città, che va partecipato e condiviso in piena trasparenza.

Noi proponiamo all’amministrazione:

-di riaprire il percorso di consultazione del PAT, stante il fatto che sono passati oltre 6 anni dalla conclusione della precedente fase, peraltro realizzata in modo frettoloso e all’insegna della blindatura antidemocratica, garantendo d’ora in poi per le restanti fasi di stesura del Piano modalità e strumenti certi di informazione e trasparenza

di organizzare immediatamente una Conferenza per la programmazione strategica della città, che preveda un ampio confronto fra le componenti socio-economiche-professionali-culturali-politiche che compongono la città al fine di individuare gli indirizzi portanti  dello sviluppo urbanistico, nonché ipotizzare  tempi, modalità e  risorse per la realizzazione dei progetti.

Riteniamo però che, al di là degli impegni che competono a chi governa la città, i cittadini possano attivare in prima persona  forme auto-organizzate di partecipazione e di decisione, creando autonomamente sedi e momenti per confrontarsi e costruire proposte.

Questa serata vorrebbe essere il punto di partenza di una sperimentazione di progettazione collettiva, che metta insieme intuizioni e competenze, creatività e professionalità, con la finalità di costruire insieme una nuova  idea di città che sia capace di futuro.

Lo strumento potrebbe essere la creazione di un gruppo di urbanistica partecipata, che abbia le caratteristiche della trasversalità e della molteplicità culturale: una forma di concorso di idee permanente auto-organizzato e auto-gestito, finanziato solo dalla passione e dalla voglia di dare un contributo per invertire il processo di spegnimento della nostra città, che sarà  inevitabile solo se noi lasceremo che lo sia.

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