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Il 25 Aprile oggi

Il 25 Aprile è una Festa che non perde di attualità, ma acquista ogni volta nuovi significati e rinnova la memoria della nostra comunità nazionale.

Settanta anni fa la Liberazione, dal nazismo e dal fascismo, apriva la strada alla nascita della nostra Repubblica, alla scelta della democrazia, alla libertà. Si tratta di valori e diritti per i quali ancor oggi nel mondo si combatte, perché in troppi paesi sono ancora negati. E che non si possono dare per acquisiti  per l’eternità, ma devono vivere e rafforzarsi con il riconoscimento dei nuovi diritti che nascono dai mutamenti sociali, dei nuovi ambiti nei quali riconoscere la dignità e la libertà delle persone.

Da quella Liberazione nacque il patto costituzionale, sancito nella nostra Carta fondamentale, che oggi è oggetto di una profonda revisione del tutto irrispettosa dei principi fondamentali che animano la costruzione delle nostre istituzioni democratiche repubblicane.

Anche lo stile, oltre che la sostanza, con il quale si va baldanzosamente perseguendo questa  manomissione costituzionale, pare del tutto fuori luogo rispetto alla importanza e alla natura delle regole del gioco democratico, che dovrebbero essere sottratte a logiche di corto respiro come quelle che paiono muovere i novelli costituenti. La legge elettorale, che pur essendo legge ordinaria ha evidenti riflessi sul quadro costituzionale, non può essere una imposizione di una parte, per quanto maggioritaria nei numeri parlamentari, che intende cucire a propria misura le regole della contesa elettorale per averne vantaggio per sé e svantaggio per tutti gli altri. L’eliminazione della elezione diretta del Senato e il suo cambio di ruolo, il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e l’accentramento centralistico delle funzioni, sono ingredienti velenosi della proposta di riforma costituzionale frettolosamente e superficialmente assembrata dalla maggioranza. Che prefigura una Repubblica a democrazia attenuata, dove saltano meccanismi di controllo e di equilibrio tra i poteri e si verticalizza radicalmente la catena decisionale.

Eppure si vuol dare ad intendere che si tratti non di questioni fondamentali che riguardano tutte le parti in campo ora e nei prossimi decenni, ma che siano un tassello essenziale delle tanto invocate “riforme” che dovrebbero far uscire il paese dalla crisi. E sulla velocità delle quali si misurerebbe la forza e la capacità dell’attuale governo, e il suo distinguersi da un passato dipinto indiscriminatamente come buio e paludoso. Niente di vero, anzi vere e proprie mistificazioni della realtà ad uso propagandistico. Le riforme in questione non apportano alcun beneficio alla situazione sociale ed economica del paese, ma anzi servono semmai a indebolire i corpi sociali intermedi e il sistema delle autonomie locali, a sottomettere il parlamento al governo, a far saltare meccanismi di garanzia e di equilibrio, con la finalità di poter più agevolmente far transitare politiche antisociali e antipopolari, di riduzione dei diritti del lavoro e di taglio ai servizi pubblici, aumentando anziché riducendo l’ingiustizia e la disuguaglianza sociale.

La Costituzione ci consegna invece altri compiti da svolgere. Quei compiti che il Presidente della Repubblica Mattarella elencava nel suo discorso di insediamento, e che attendono ancora qualcuno che si incarichi di svolgerli diligentemente.

Anche per questo il 25 Aprile dovrebbe essere consacrato alla memoria dei resistenti e alla traduzione odierna di quella forza d’animo e di quella passione per la libertà e la giustizia che riscattarono il nostro paese dalla cupa stagione fascista. Non la si prenda a pretesto per strumentalizzazioni con altre finalità, e non se ne faccia un giorno come un altro nel quale andare a fare la spesa nei troppi negozi aperti.

Il Sindaco di Santa Lucia di Piave prende a pretesto la giusta protesta e recriminazione per i continui e profondi tagli alle risorse degli enti locali messe in atto con continuità negli ultimi anni per dichiarare di non voler onorare la Festa della Liberazione: bersaglio sbagliato e pretestuoso. Per questo saremo a celebrare la Festa della Liberazione il 25 aprile a Santa Lucia, assieme all’Anpi e al PD e a tutti coloro che hanno chiara la differenza tra politiche sbagliate dei governi e il valore di quella data fondativa della nostra democrazia.

Troppi negozi e centri commerciali tengono aperto il 25 aprile, come terranno aperto pure il 1 maggio. Cose simili non accadono in altri paesi. I lavoratori del commercio hanno diritto a poter stare in famiglia e poter celebrare queste date come si conviene. Va rivista la legge del 2012 che ha lasciato libertà totale nelle aperture dei negozi, senza determinare nessun significativo aumento né dell’occupazione né dei consumi, ridando alle Regioni il potere di regolamentazione o vauro-25-aprile1salvaguardando almeno le principali festività laiche e religiose.

L’impegno che nasce dal 25 Aprile ci porta anche a schierarci, nelle prossime elezioni regionali, contro il nuovo volto che ha assunto la destra estrema, contro il sodalizio tra l’ex partito padanista e i nazionalisti xenofobi di tutta Europa, propugnatori a oltranza della disuguaglianza dei diritti  e dell’ingiustizia sociale.

Luca De Marco

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Dare al Veneto un governo nuovo, sconfiggere il razzismo e l’affarismo delle destre

Dopo un lungo percorso regionale di confronto e discussione per definire le alleanze in vista delle prossime elezioni regionali, conclusosi con una consultazione regionale degli iscritti, svolta all’interno delle federazioni provinciali e che ha confermato l’ipotesi di accordo con il PD regionale su una base programmatica condivisa (nella nostra assemblea provinciale di Treviso del 13 marzo i favorevoli all’accordo sono stati l’86,67%, i contrari e gli astenuti entrambi il 6,67%), l’accordo per l’alleanza di centrosinistra è stato ufficializzato con due conferenze stampa a livello regionale, il 20 marzo e il 2 aprile scorsi.

La proposta di programma avanzata mesi fa da SEL, assieme a Rifondazione (ora “Sinistra Veneta”, dopo che Rifondazione Comunista ha deciso di scegliere un’altra strada) e Verdi, è stata accettata in larga parte dal Partito Democratico veneto, e quindi il programma regionale della coalizione di centrosinistra prevederà, tra l’altro:

  • centralità del pubblico nelle politiche attiva del lavoro, investendo nei centri per l’impiego
  • politica industriale regionale che rimetta al centro la pianificazione pubblica
  • reddito di cittadinanza
  • stop alla vendita delle case popolari
  • revisione leggi sugli appalti, all’insegna della trasparenza e della tutela dei lavoratori
  • salvaguardia delle coste e della Laguna, no alle trivellazioni in Adriatico e alle grandi navi a Venezia
  • stop al consumo del territorio, con revisione del piano urbanistico regionale e fine dei megaprogetti di news city commerciali (vedi Veneto City)
  • piano per la cura e manutenzione del territorio, contro il dissesto idrogeologico
  • raccolta differenziata spinta con obiettivo rifiuti zero e chiusura inceneritori e discariche
  • tutela dell’acqua come diritto, come risorsa naturale, come gestione pubblica della distribuzione in rispetto dei risultati del referendum
  • spostamento delle risorse dagli investimenti su strade a quelli per il trasporto su ferro. Rilancio e ampliamento del Sistema Metropolitano Ferroviario di Superficie.
  • chiusura della stagione dei “project financing”, sistema perverso fonte di corruzione e di spreco di denaro pubblico. Revisione e discussione pubblica dei progetti di grandi opere.
  • legge per il no ogm in agricoltura
  • aumento degli stanziamenti per le politiche sociali e rafforzamento del ruolo del pubblico
  • riduzione liste di attesa in sanità, sblocco delle assunzioni, centralità sanità pubblica rispetto al privato. Taglio dei ticket
  • istituzione del parco interregionale del Delta del Po
  • abbassamento quorum per referendum regionale abrogativo e propositivo
  • bilancio sociale, bilancio di genere, bilancio partecipato, comitati utenti nei servizi pubblici

Questa base comune consente di proporre una alternativa reale al ventennio forza leghista di gestione del governo e del potere nel Veneto, conclusosi giudiziariamente, per ora, con l’assessore alle strade e l’ex presidente del Veneto agli arresti, ma che prosegue nei fatti con il vice di Galan e il capo di Chisso che si ripropone a presidente del Veneto.

La rottura che si è prodotto all’interno della Lega è una rottura profonda, che riapre la partita per il governo del Veneto. Abbiamo di fronte l’occasione storica di portare la sinistra a governare la Regione, e di sconfiggere la destra a trazione leghista,  votata ora a una deriva estremista e razzista con il nuovo corso salviniano.

La nuova Regione dovrà riappropriarsi del compito proprio e utile della politica, governare e dare un senso di marcia ai processi, non assecondare supinamente logiche mercantili e affaristiche. E, al centro della politica e del governo, vanno ora messi la trasparenza e l’onestà.

La gestione e programmazione del servizio sanitario devono essere sottratti a logiche speculative e finanziarie, che tramite la finanza di progetto arricchiscono soggetti privati togliendo per decenni alle casse pubbliche risorse da destinare ai servizi e all’abbattimento dei ticket. O che spostino le risorse dal pubblico al privato. La pianificazione territoriale deve porsi l’obiettivo di fermare e riparare all’immenso consumo di suolo perpetrato in regione. Le politiche di sviluppo devono partire dalla centralità del lavoro, della sua sicurezza e della sua dignità, contrastare delocalizzazioni e competizioni al ribasso sulla pelle dei lavoratori, puntare sulla qualità ambientale, sull’innovazione e sulle risorse territoriali.

Da ora il nostro impegno è quindi quello di far comprendere l’importanza della posta in gioco, di far conoscere i contenuti innovativi e per nulla scontati che abbiamo ottenuto nella trattativa, di proporre delle liste espressione della sinistra sociale e politica e del mondo ambientalista progressista, e di chiedere un sostegno per una presenza forte della sinistra all’interno della coalizione di centrosinistra, come migliore garanzia di discontinuità rispetto alla stagione Galan Zaia e di una modalità di governo più democratica e rivolta all’esclusivo interesse del territorio veneto e dei suoi cittadini.

La lista nella quale si presenterà Sinistra Ecologia Libertà è la lista Ven[e]to Nuovo

veneto nuovo

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Assemblea per l’alternativa in Veneto

locandina 9 gennaio

Le prossime elezioni regionali sono l’occasione per rimettere al centro la necessità di un cambio di rotta nel governo del Veneto, dopo un esasperato continuismo che ci consegna come maggior lascito il sistema Mose e affini svelato dalla magistratura.

In vista di questo appuntamento, a sinistra si è cominciato un lavoro di costruzione di un programma per le prossime elezioni regionali, aperto a comitati, associazioni, forze politiche che intendono delineare una alternativa di governo della Regione e chiudere con il ventennio Galan-Zaia, per indicare come sia possibile, oltreché necessario, governare una Regione complessa e importante come il Veneto nel rispetto dell’ambiente, della cultura, della dignità del lavoro, dell’onestà.

Il territorio regionale è attraversato da fermenti diffusi, da battaglie locali grandi e piccole per difendere gli spazi liberi dal cemento, per evitare opere inutili e dannose per l’ambiente, per garantire la salute pubblica, per difendere i diritti dei cittadini e di chi lavora. Dentro quelle battaglie si delinea spesso un progetto alternativo di sviluppo che inverta le priorità rispetto alle logiche del profitto facile e a tutti costi che ha segnato profondamente e dolorosamente il Veneto degli ultimi anni.

La nuova Regione dovrà riappropriarsi del compito proprio e utile della politica, governare e dare un senso di marcia ai processi, non assecondare supinamente logiche mercantili e di pura speculazione.

La gestione e programmazione del servizio sanitario devono essere sottratti a logiche speculative e finanziarie, che tramite la finanza di progetto arricchiscono soggetti privati togliendo per decenni alle casse pubbliche risorse da destinare ai servizi e all’abbattimento dei ticket.

La pianificazione territoriale deve porsi l’obiettivo di fermare e riparare all’immenso consumo di suolo perpetrato in regione.

Le politiche di sviluppo devono partire dalla centralità del lavoro, della sua sicurezza e della sua dignità, contrastare delocalizzazioni e competizioni al ribasso sulla pelle dei lavoratori, puntare sulla qualità ambientale, sull’innovazione e sulle risorse territoriali.

Per questo ci sentiamo di chiamare a uno sforzo di unità e di sintesi coloro che si propongono un cambiamento reale del nostro Veneto.

Invitiamo tutti coloro che sono interessati a questi temi a parlarne e a partecipare in una assemblea pubblica aperta, che si terrà venerdì prossimo, 9 gennaio, alle ore 21,00 presso la sala Steno Zanin, via Stradella Interna A, Fiera di Treviso.

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Under Construction: materiali per il programma regionale. Ambiente e Territorio

Under construction: qui trovi tutti i materiali preparatori elaborati fin qui, per la definizione di  un programma di alternativa per il governo del Veneto.

Di seguito il contributo su Ambiente e Territorio di Oscar Manciniunde

AMBIENTE E TERRITORIO

PREMESSA

Sono cambiati i Presidenti, ma la musica che hanno suonato in questi anni a Palazzo Balbi non è cambiata: cementificare e asfaltare. Zaia come Galan. Cambiano le Giunte, si avvicendano in carcere e agli arresti domiciliari assessori, vertici dei consorzi, delle imprese e delle società che monopolizzano le “grandi opere”, la Guardia di Finanza documenta l’infiltrazione mafiosa nel mercato immobiliare del Veneto, il dissesto idrogeologico provoca frane e alluvioni, la qualità dell’aria è la peggiore d’Europa ma l’obiettivo è sempre quello: lasciare mano libera ai progetti che le varie lobby finanziarie e del cemento e del mattone hanno in programma e che “concerteranno” con i soliti assessori.

Sui tavoli degli uffici regionali sono già pronte decine di “progetti strategici”, che impegnano il suolo veneto con svariati milioni di metri cubi di volumetrie e centinaia di chilometri di nastri d’asfalto.

Progetti che vanno approvati con le norme “semplificate” della Legge Obiettivo, degli Accordi di Programma, dei famigerati Project Financing e spesso gestite dai super-dirigenti e commissari.

Ma per riuscirci la Regione ha bisogno di “derogare” dalle norme vigenti sulla salvaguardia e sulla tutela del territorio stabilite dalle Convenzioni europee sul paesaggio e sulle aree protette, dal Codice sui Beni Culturali , dai Piani di assetto Idrogeologici e dalle stesse leggi regionali ancora vigenti.

Questo è lo scopo vero del “nuovo” PTRC di Zaia: un Piano che non è un piano. Dopo Galan, Zaia ha infatti sostanzialmente confermato un piano di cementificazione del territorio , a suo tempo sommerso da una marea di osservazioni presentate da cittadini, associazioni, forze sociali e che non riuscì nemmeno ad arrivare alla discussione in Consiglio Regionale. L’attribuzione al Piano di una inesistente “valenza paesaggistica” non ne cambia la sostanza. Il Piano, mai approvato dal Consiglio è però nei fatti operante. I suoi devastanti effetti sono sempre più contestati dalle comunità locali.

Esauritosi il grande ciclo immobiliare più lungo dal dopoguerra ora la Regione asseconda il capitale finanziario che punta sulle infrastrutture in “projet financing” in salsa veneta: un diluvio di autostrade e ospedali da rottamare, spesso oggetto di attenzione da parte della magistratura.

La rete stradale viene così progressivamente privatizzata e si sottraggono risorse alla sanità. Per i privati rischio zero e guadagno certo; per la collettività meno servizi sanitari e aumento dei pedaggi, utilità incerta e altissimo rischio di costruire un debito occulto e differito di ingenti proporzioni, addossato sulle spalle delle prossime generazioni.

Nel frattempo però cresce l’opposizione coinvolgendo in modo inedito comitati e associazioni imprenditoriali e sindacali.

E’ ormai consapevolezza diffusa che la vera ricchezza del Veneto, uno dei territori più belli d’Italia – non a caso la prima regione turistica – sta, da un lato, nel suo patrimonio artistico e storico, paesaggistico e culturale e, dall’altro, nella sua industria manifatturiera, un tempo locomotiva d’Italia.

Entrambi questi patrimoni italiani sono a rischio.

E’ in crisi la nostra industria insidiata dai mancati investimenti in ricerca e innovazione, con conseguenze drammatiche sul lavoro e l’occupazione.

E’ a rischio il nostro territorio, sempre più abbandonato al degrado e affogato da un’abnorme crescita urbana senza forma.

A forza di creare valore spostando risorse dall’industria al cemento e all’asfalto alla fine si ottiene bassa produttività del sistema. La rendita deprime l’economia mentre si vanta di salvarla. Qui risiede la sua forza ideologica, la sua intrinseca capacità di mistificare la realtà.

1.PER IL LAVORO E L’ AMBIENTE.

Non è vero che non ci siano esigenze di nuovi interventi di trasformazione delle città. Le sempre più frequenti alluvioni indicano la necessità fermare il consumo di suolo e di mettere mano a un serio programma di difesa del territorio, dell’assetto idrogeologico.

Serve poi un piano ricostruzione di ambienti compromessi, di messa in sicurezza e di riqualificazione energetica degli edifici a partire da quelli scolastici, di promozione di attività produttive innovative, di recupero e restauro architettonico degli edifici, dedicando attenzione alle esigenze abitative delle persone con bassi redditi e agli spazi pubblici.

Un grande piano di piccole opere e poi un grande piano per la mobilità sostenibile sottoponendo il Veneto alla “cura del ferro” come “cura” alla “malattia dell’asfalto.

Un grande Piano capace di dare lavoro a migliaia di giovani, a migliaia di imprese artigiane. A differenza delle “grandi opere” che, come ha messo in luce la magistratura, sono appannaggio delle solite grandi imprese, con modalità spesso corruttive e subappalti che strozzano le piccole imprese.

Un grande Piano per restaurare lo straordinario patrimonio storico, culturale e paesaggistico del nostro Veneto. Per recuperare aree degradate ed edifici dismessi.

Per bonificare aree dismesse a partire da Porto Marghera.

Un grande piano di politiche industriali tese a sostenere attività rivolte alla riconversione ecologica dell’economia e alla conversione ecologica della società.

Per un’agricoltura che garantisca la tracciabilità e la qualità dei prodotti, la certificazione, il sostegno ai Gruppi di Acquisto Solidale, la formazione di filiere corte e di mercati di prossimità, la promozione dell’agricoltura biologica e biodinamica e l’ innovazione tecnologica con l’ausilio della Facoltà di Agraria e degli istituti tecnici e professionali presenti nel territorio;

Anche attraverso l’assegnazione di terreni pubblici abbandonati a cooperative di giovani.

Per recuperare tradizioni eno-gastronomiche e zootecniche locali; vendita diretta dei prodotti; agriturismo; produzione di bioenergie; valorizzazione del paesaggio; preservazione biodiversità vegetale e animale; mitigazione dei fattori climatici; sviluppo di servizi sociali, didattici e culturali, difesa idrogeologica; presidio territoriale contro l’abbandono e il degrado.

Per sviluppare un’attività turistica sostenibile a partire dalla montagna, dalle colline e dal Delta del Po.

Per creazione nuove opportunità di lavoro e di sostegno economico.

C’è un nesso storico tra ambiente lavoro ed economia. Noi ci proponiamo di unire il “Rosso” e il “Verde”, il lavoro e l’ambiente. Unire non giustapporre. La nostra lista è nata per questo obiettivo.

 

  1. STOP ALLA NEBULOSA INSEDIATIVA,

I primi anni 2000, per effetto delle leggi Tremonti e dei relativi sgravi fiscali, hanno registrato il boom dei capannoni industriali e dell’edilizia non residenziale: oltre 165 milioni di mc nel decennio.

Rallentando la produzione di capannoni industriali, si è avviato il boom dell’edilizia residenziale, frenato solo dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008: circa 150 milioni di mc. Un’offerta abitativa che, se si fossero realizzate tipologie appropriate e se sui prezzi delle abitazioni non avesse pesantemente inciso la rendita fondiaria, considerato lo standard ottimale definito dalla Regione Veneto di 150 mc/abitante, avrebbe potuto soddisfare una domanda potenziale di 1 milione di nuovi abitanti. In realtà negli anni 2000 la popolazione del Veneto, quasi esclusivamente per effetto dei fenomeni migratori, è aumentata solo di 429.274 unità, mentre -secondo i dati dell’ultimo censimento Istat, tra il gennaio e l’ottobre 2010 si è registrata, per la prima volta in 40 anni, una decisa tendenza alla decrescita ( – 71.530 abitanti).

Sempre negli anni 2000 la Superficie Totale (SAT) delle Aziende Agricole del Veneto si è ridotta ad un ritmo di 147 milioni di mq/anno. In vent’anni dal 1990 al 2010, la SAT è complessivamente diminuita di 279.830 ettari, ovvero del 21,5 %: un’estensione superiore a quella di tutta la provincia di Vicenza.

L’impronta ecologica del Veneto, secondo il Rapporto Ambientale redatto in occasione del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, è di 6,43 ettari equiv,/pro capite anno (contro una media nazionale di 4,2), mentre la “biocapacità” del nostro territorio è di soli 1,62 ettari equiv./pro capite anno. Il che comporta un “deficit” ecologico” di ben 4,81 ettari /pro capite di terreno “biologicamente attivo”.

Questi i numeri. Ma i numeri non dicono tutto. Alla bulimia edificatoria verso cui si sono indirizzate larga parte delle finanze private, è purtroppo corrisposta una sostanziale incapacità di governo delle trasformazioni territoriali a scala vasta ed una discutibile qualità urbana ed edilizia. La dispersione insediativa, in particolare, ha accentuato il rischio idraulico, la produzione di inquinanti e gas climalteranti, ha generato spreco energetico, danni alla salute e insostenibili costi per i trasporti ed i servizi alla popolazione ed ai settori produttivi. Costi che oggi incidono pesantemente sulla stessa capacità competitiva delle imprese disseminate in forma assolutamente casuale in tutto il territorio.

Ma la conseguenza forse più drammatica di questa nebulosa insediativa, che sarebbe appropriato definire “città dispersa” o “non città” piuttosto che con il termine in fondo nobilitante di “città diffusa”, è la sistematica distruzione del paesaggio storico.

Lo stop al consumo di suolo non va inteso come atto da praticare dopo aver costruito tutto il volume previsto nei Piani vigenti, ma rappresenta un nuovo moderno modello di città e di territorio. La rivisitazione degli strumenti urbanistici vigenti deve essere parte qualificante dei programmi di coalizione, qualora i Piani prevedano nuove costruzioni e impermeabilizzazioni di suoli inedificati in presenza di alloggi vuoti e di previsioni sovrastimate rispetto all’incremento demografico, giustificate dalla politica degli affari e dalla rendita, causa della crescente diffusione di aree cementificate che invade preziosi terreni naturali e agricoli. La difesa deve essere esercitata in modo particolare nei confronti di aree idrogeologicamente fragili, aree agricole, di valore paesistico e nelle periferie urbane per le quali promuovere politiche attive di infrastrutturazione verde con parchi, aree verdi di quartiere e orti urbani.

  1. PER UNA MOBILITA’SOSTENIBILE.

Purtroppo si continua a investire in autostrade anziché nel trasporto pubblico. Queste scelte stanno deteriorando ulteriormente la città, aumentando i tempi di tutti gli spostamenti e spingendo le classi meno abbienti sempre più lontano dalle città, nelle nuove lottizzazioni prive di servizi. Noi pensiamo invece che la Pianificazione urbanistica debba concepire la città mescolando funzioni diverse – la casa, il lavoro, la cultura, il divertimento. Ogni paese o quartiere deve riprodurre questi intrecci e deve essere accessibile alle fasce economicamente più deboli, da chi ha pochissimi mezzi fino a chi sta già un po’ meglio, ma certo non può permettersi i prezzi del libero mercato. I quartieri evitano di diventare ghetti se ospitano persone di ceti diversi.

E’ urgente cambiare il modello di sviluppo della Regione passando dalla gomma alla rotaia sia per le merci sia per i passeggeri. L’obiettivo è quello di conseguire una maggiore vivibilità e benessere dei Veneti. (minori patologie connesse al mal d’aria, minore congestione da traffico e tempi morti per l’economia regionale, ecc.).

Prima dunque il Servizio Ferroviario Metropolitano, poi si potrà parlare di nuove strade. Per essere credibili occorre concentrare subito tutte le risorse disponibili per finanziare treni e servizi, come richiesto dai sindacati, favorendo la concentrazione di attività e insediamenti intorno alle stazioni entro un progetto di riorganizzazione territoriale improntato alla riduzione della dispersione insediativa e del consumo di suolo. Le stazioni del SFMR devono divenire poli urbani di massima accessibilità, pienamente integrate dal punto di vista fisico e funzionale con il trasporto pubblico su gomma, con le piste e gli itinerari ciclabili e anche con la dimensione pedonale della mobilità urbana.

E’ necessario pertanto:

a)elaborare, finalmente, un vero nuovo Piano Regionale dei Trasporti (quello vigente risale al 1992, e le proposte intermedie di aggiornamento non sono mai state approvate dal Consiglio regionale). Un Piano che parta dai servizi necessari a garantire l’accessibilità e assuma la migliore utilizzazione delle infrastrutture esistenti come principio prioritario rispetto alla costruzione di nuove infrastrutture.

Un Piano fondato sulla domanda di mobilità espressa dai territori, riconosciuta attraverso un vero processo di partecipazione, in cui le scelte rispondano ad obiettivi di qualità della mobilità per tutte le componenti sociali e territoriali. Un Piano nel quale gli inevitabili conflitti trovino soluzioni coerenti con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e paesaggistica. Un Piano che parta da una conoscenza approfondita dei comportamenti, attento alla dimensione delle brevi e medie distanze, capace di raccordarsi alla dimensione locale recependone le ambizioni di coesione sociale, di qualità e di sostenibilità .

Un Piano infine nel quale riesaminare tutti i progetti infrastrutturali fin qui assentiti al fine di valutarne la fattibilità alla luce dei nuovi indirizzi comunitari (al 2050 riduzione dei consumi energetici del 70% del consumo di energia nei trasporti rispetto al 2009; al 2030 riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 30% rispetto al 2008 e riduzione del 60% al 2050) e di ricomporre un disegno di prospettiva orientato alla sostenibilità sociale, finanziarie ed ambientale.

b)Introdurre e sperimentare metodi di reale coinvolgimento della popolazione locale nei processi di decisione che riguardano la costruzione di nuove infrastrutture. Sul modello, opportunamente rivisto per adattarlo alla situazione italiana, del Débat Public previsto dalle norme francesi sulla protezione dell’ambiente. Questa prospettiva è particolarmente importante per il progetto di potenziamento ferroviario Mestre-Trieste da ripensare completamente rispetto ai progetti di linea ad alta velocità (stupidamente sovradimensionati, territorialmente devastanti e funzionalmente inutili) finora presentati, disconosciuti addirittura dal Commissario di governo (Bortolo Mainardi) incaricato di portarli avanti.

c).Riformare composizione, struttura e funzionamento della Commissione Regionale VAS, responsabile della Valutazione di impatto ambientale dei progetti e della Valutazione ambientale dei Piani e dei programmi. La riforma deve rimuovere gli evidenti conflitti di interesse.

Le opere, grandi o piccole che siano, andrebbero condizionate preliminarmente da una rigorosa analisi fatta e certificata da istituto o autorità terza, con standard internazionali, su costi/benefici.

L’unica opera realizzata è il Passante di Mestre che può essere utilmente e agevolmente utilizzata per questa analisi ( costi lievitati, difficoltà del Piano Economico Finanziario PEF, difficile bancabilità dell’opera, ricorso alla finanza pubblica e BEI, ecc.). Si tratta della opera più importante e necessaria della Regione con una rendita da pedaggi di 120 milioni di euro all’anno x 32 KM di infrastruttura che fa fatica a pagare il debito assunto con ANAS che ha anticipato il costo di 1 miliardo di euro. Temiamo che le altre infrastrutture fatte con finanza di progetto finiscono per essere pagate da risorse pubbliche, scassando i conti pubblici, per la manifesta impossibilità odierna di rispettare i criteri sin troppo ottimistici del numero di passaggi quotidiani.

d)Una grande opera stradale necessaria è finanziare adeguatamente la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’esistente, la buona tenuta delle infrastrutture attuali, la ricerca di migliorare la sicurezza stradale attraverso l’eliminazione di strozzature, punti neri e punti critici della viabilità più che utilizzare le difficoltà reali per proporre sempre nuove strade a pagamento. La competitività passa anche dai costi sempre più insopportabili dei pedaggi infrastrutturali. Vedi nota su autostrade del mese scorso sempre sul sito.

  1. e) Bisogna saturare l’esistente, prima di lanciarsi in nuove opere. Sia che si tratti di interporti, porti, aeroporti, strade è bene partire dal tasso di utilizzo delle attuali opere. Abbiamo una dotazione in più di un caso ridondante ma poco specializzata e polarizzata con la conseguenza del frazionamento e dello scarso appeal della sufficiente massa critica. Per cui nonostante la grande offerta polverizzata veneta è più conveniente economicamente ( costi, certezza dei tempi, qualità dei servizi) per i grandi operatori spedire merci dai porti del Nord Europa o del Tirreno. Saturare e polarizzare l’offerta di trasporto e di logistica sfruttando l’esistente veneto è un obbligo pieno di buonsenso.

f)Sulle infrastrutture ferroviarie e del trasporto pubblico locale TPL bisogna chiedere un salto qualitativo nella rete ( elettrificazione, doppi binari, soluzione dei nodi e dei by pass, buona tenuta delle stazioni più che la costruzione di nuove, intermodalità con gomma e acqua nei maggiori centri urbani della regione).

C’ è molto da fare anche a causa della trascuratezza decennale della Regione ( più attenta alle opere cementiere come sottopassi e parcheggi quando per pochi attimi si è dedicata al tema).

g)E’ prioritario completare il Sistema ferroviario metropolitano regionale SFMR per dare effettivamente un servizio regolare, puntuale, cadenzato. Investire in modo più deciso su ammodernamento del parco rotabile ( treni, carrozze, bus, vaporetti) con risorse pubbliche regionali che integrano il fondo nazionale..

h).Affrontare con decisione il rapporto con lo Stato a proposito di Venezia, della città metropolitana e della nuova legge speciale. A partire dalla questione delle Grandi navi. Qui occorre affrontare il problema nel quadro di due Piani ad oggi mancanti: il Piano morfologico e ambientale della laguna e il nuovo Piano regolatore portuale.

Il Piano Morfologico e ambientale è in corso di redazione da parte del Consorzio Venezia Nuova concessionario del Magistrato alle acque. Ma dalle informazioni fin qui disponibili non risulta che il Piano si occupi delle proposte di riorganizzazione del traffico crocieristico, ciascuna delle quali è suscettibile di avere impatti diversi, ma in ogni caso molto gravi sulla morfologia lagunare.

Il Piano regolatore portuale è atteso da anni, ma da anni evitato dall’autorità portuale che procede per interventi basati sul Piano del 1963. Mentre l’elaborazione del Piano morfologico langue vanno avanti i progetti di nuovi percorsi lagunari per le grandi navi e di nuovi terminal, senza alcun quadro di riferimento. I più aggressivi appaiono quelli promossi dall’Autorità portuale interessata a mantenere quanto più possibile il passaggio attraverso il bacino di S. Marco oppure lo scavo di nuovi canali di impatto non minore di quello tristemente noto del Canale dei petroli.

Il confronto tra le varie proposte di riorganizzazione non può essere ragionevolmente condotto che all’interno dei due piani sopra ricordati, che riguardano la morfologia lagunare e le attrezzature portuali e che richiedono con evidenza una stretta integrazione. Le alternative a confronto, che nascono ad oggi da interessi e soggetti diversi, devono trovare il loro limite nella sostenibilità dell’ambiente lagunare: non è la laguna che deve adattarsi alle grandi navi, ma le navi devono essere compatibili per dimensione e percorso con gli equilibri ecologici della laguna . Ne consegue la scelta di estromettere le grandi navi dalla laguna.

  1. f) Per quanto attiene al Trasporto pubblico locale riteniamo necessario favorire aggregazioni e fusioni tra i gestori, privilegiare bacini omogenei di traffico sufficientemente ampi, per aree interprovinciali, gare con le clausole sociali assunte con legge regionale, introducendo il biglietto unico per tutta la regione, , sistemi elettronici di controllo e di pagamento interoperabili, politiche tariffarie che favoriscano l’attrazione di nuova utenza soprattutto negli orari di “morbida”, allargare e potenziare il TPL a quartieri ed aree non servite con politiche di ZTL e maggiori costi della sosta, interscambio nelle principali relazioni stradali urbane, progressiva integrazione dell’offerta riducendo doppioni e duplicità inutili e costose, maggiore capillarità e frequenza del servizio per attrarre nuova utenza, aumento della velocità commerciale, finanziamento certo e strutturale del TPL.
  2. g) Per gli aeroporti: integrazione e sviluppo del sistema aeroportuale del nord est che migliori la capacità e specializzazione degli scali bilanciando il traffico e saturando maggiormente l’offerta. Non servono nuove grandi piste ma la messa a disposizione senza cannibalismo tra scali delle attuali opportunità e disponibilità. Miglioramento delle aree a disposizione dei passeggeri e lavoratori senza gigantismo e consumismo. Attenzione alla parte edilizia e di sviluppo NO FLY che deve stare dentro processi sostenibili di attività dentro i piani di intervento e piani di assetto territoriale dei Comuni. Relativamente al lavoro siamo con crisi perenni che colpiscono l’occupazione a causa del modello di liberalizzazione selvaggia sia a terra ( handler) sia nei cieli (compagnie aeree).
  3. h) Per gli interporti: migliorare la qualità dell’offerta di capannoni, recupero dell’esistente, tarare domanda/offerta, stop alla creazione di nuovi interporti. Attenzione alle condizioni di chi lavora nel settore delle merci e della logistica (i nuovi schiavi). Legislazione regionale sugli appalti e atta a favorire buona cooperazione.

3 TERRA NOSTRA. Cura e messa in sicurezza l territorio dai rischi alluvioni e frane

Il Veneto ha il “primato nazionale” della copertura di suolo. La cementificazione, con l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 è costata in tre anni 130 milioni di €

L’aumento degli immobili vuoti è stato nel decennio pari al 350%. Eppure nel Veneto si costruisce ancora, nonostante la presenza di migliaia di case vuote e il forte calo dei prezzi e delle compravendite, segni di un mercato saturo.

Nel contempo, a causa della crisi ,l’emergenza abitativa per i ceti popolari si aggrava: aumentano gli sfratti per “morosità incolpevole” e la impossibilità per tanti di sostenere gli oneri dei mutui.

Piogge, anche non eccezionali, mandano sott’acqua interi quartieri. Si allagano strade, garage, primi piani di negozi e abitazioni.

La popolazione esasperata chiede ascolto e ha il diritto di incidere sulle scelte che riguardano il proprio territorio. Da troppo tempo democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono in conflitto.

La protezione e la cura del territorio è la grande riforma e la “grande opera” di cui il Veneto ha urgente necessità. In attesa di un programma nazionale poliennale e ordinario per la difesa del suolo dalle alluvioni, dalle frane e dai terremoti ,inteso come il sistema di opere pubbliche più urgente anche per uscire dalla crisi economica, la Regione può fare molto.

La pianificazione urbanistica deve introdurre l’obbligo dell’invarianza idraulica, dell’adattamento agli effetti estremi dei cambiamenti climatici, dell’individuazione delle aree a rischio idraulico e geologico, della delocalizzazione delle abitazioni esposte a rischio di frana o alluvione.

Il Piano cave deve essere completamente riscritto in quanto parametrato sull’abnorme fabbisogno di 120 milioni di metri cubi di materiali per l’edilizia del decennio della cementificazione allegra 2000-2011 e lo proietta sul decennio a venire. Non tiene conto della possibilità d’incrementare notevolmente la quota che deriva dal recupero di inerti da costruzione e demolizione, come avviene in altri paesi europei dove le percentuali di recuperato superano il 90%.

Importanti opere di difesa idraulica da tempo indicate dagli esperti devono finalmente essere realizzate dirottando su di esse i finanziamenti concessi per le opere autostradali.

I sindaci devono essere sostenuti nella loro azione coinvolgendoli nell’organizzazione della prevenzione e della protezione civile.

Concreta deve essere la solidarietà con le comunità colpite dalle alluvioni o frane.

4 – VERSO RIFIUTI ZERO: una scelta per l’ambiente, per creare lavoro, una scelta di civiltà

La riconversione ecologica passa anche da qui, da progetti integrati dentro una strategia complessiva che coinvolge i settori: ambiente, ricerca, formazione e attività produttive, dentro un processo culturale per modificare cattive abitudini e stili di vita. La Regione deve sostenere gli sforzi dei comuni tesi a migliorare il sistema di raccolta differenziata “porta a porta” integrale che, oltre a tutelare l’ambiente, responsabilizza i cittadini e costruisce senso civico. I nuovi Consigli di Bacino devono lasciare ampia sovranità ai comuni nella definizione dei Piani Finanziari e delle modalità di raccolta purché esse siano finalizzate all’incremento della raccolta differenziata. A questo fine la Regione dovrà impegnarsi a finanziare “Centri del Riuso” e della riparazione che possono dare occupazione ad abili artigiani e cooperative di giovani.

Alla Regione il compito di programmare e incentivare progetti integrati volti a valorizzare la ricerca sulla “chiusura del ciclo”, per recuperare, e far rinascere a nuova vita, quanta più materia possibile. Incentivare e potenziare una filiera industriale del riciclaggio per creare nuova occupazione e le condizioni per liberarci progressivamente dalla necessità dei vecchi impianti tradizionali del novecento, pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Infine puntando sulla progressiva dismissione degli inceneritori.

5 – Per la Qualità dell’aria e la tutela della salute

L’inquinamento dell’aria riduce l’aspettativa di vita, causa malattie croniche delle vie respiratorie e cardiovascolari. La formazione e la diffusione delle polveri inquinanti coinvolgono fenomeni a più livelli di scala, dal locale all’interregionale. Questo è particolarmente vero nella pianura padana, anche per la sua conformazione orografica particolarmente sfavorevole alla dispersione degli inquinanti. In quest’area milioni di persone sono esposte a concentrazioni di polveri inaccettabili, per rientrare nei limiti europei sul numero di superamenti, la media annuale del PM10 dovrebbe scendere dagli attuali 35-50 fino a circa 28 µg/m3. Per abbassare i livelli d’inquinamento si può ottenere molto intervenendo su due settori su cui si è fatto ancora poco: trasporto merci su gomma e ammoniaca da allevamenti intensivi. Occorre quindi operare al fine di ridurre i km percorsi dalle merci, soprattutto gli alimenti (favorendo le produzioni locali) e i materiali per l’edilizia; spingere sul governo per l’adozione della direttiva europea Eurovignette (i camion più inquinanti pagano un pedaggio extra) per incentivare il trasporto su rotaia e il rinnovo dei mezzi pesanti circolanti; inserire le buone pratiche zootecniche nei disciplinari, per la riduzione delle emissioni di ammoniaca (precursore delle polveri). Resta aperta, specie nelle città grandi e medie, la questione della riduzione del traffico privato su gomma, una sfida urbanistica che si impernia sul recupero dei quartieri come spazi vitali: i servizi e i luoghi di socialità devono essere a portata di pedone e ciclista, in zone sicure dove l’auto è fisicamente costretta a muoversi con prudenza.

6 – Acqua bene comune

La gestione delle risorse idriche rappresenta uno dei principali contenuti della sfida nei prossimi anni. Tranne alcune e che hanno avviato concreti progetti legislativi e amministrativi di ripubblicizzazione dell’acqua, gli esiti referendari del 2011 sono ancora lontani dalla loro effettiva applicazione. Anzi, sull’onda delle difficoltà’ di bilancio sta riprendendo fiato una campagna strumentale tesa a nuove privatizzazioni nel settore della gestione dei servizi pubblici locali che deve essere respinta.

Insieme alle altre realtà’ e movimenti che si battono per acqua bene comune dobbiamo pretendere il pieno rispetto dei 2 referendum. I ricavi della tariffa non possono essere utilizzati per coprire i buchi di bilancio degli enti locali.

Più in generale è necessaria una forte azione per la tutela dell’acqua: riportare i fiumi e i laghi veneti ad buon stato ambientale e proteggere e ripristinare gli ecosistemi marini.

La Regione deve essere impegnata a sostenere i “contratti di fiume”.

7- Energia sostenibile

Con il cosiddetto “pacchetto clima-energia 20-20-20”, nel dicembre del 2008 l’UE ha adottato una strategia integrata in materia di energia e cambiamenti climatici che fissa obiettivi ambiziosi per il 2020. Lo scopo è indirizzare l’Europa sulla giusta strada verso un futuro sostenibile, sviluppando un’economia a basse emissioni di CO2 improntata all’efficienza energetica.

Tale obiettivo dovrà essere perseguito, da parte dei paesi membri, mettendo in atto le seguenti misure: ridurre i gas a effetto serra del 20%; ridurre i consumi energetici del 20% attraverso un aumento dell’efficienza energetica; soddisfare il 20% del fabbisogno energetico mediante l’utilizzo delle energie rinnovabili. In linea con le nuove strategie europee e con gli impegni presi a livello nazionale con la ratifica del protocollo di Kyoto, sottoscritto dall’Italia nel 1998, le Regioni sono tenute ad adottare Piani energetici coerenti.

È nel potere delle Regioni una programmazione energetica che, oltre all’adozione delle nuove tecnologie energetiche rispettose dell’ambiente, incentivi misure per un forte risparmio nei consumi individuali e collettivi, sostenga centri di ricerca e aree di sviluppo per l’innovazione e la produzione dei dispositivi energetici. La Regione dovrà sostenere e finanziare adeguatamente i PAES dei Comuni che hanno adottato il Patto dei Sindaci.

E’ necessario accelerare la fase di transizione verso un nuovo modello energetico, non più fondato sulle grandi centrali ma sulla generazione distribuita, l’efficienza e tutte le fonti energetiche rinnovabili (FER).

Per queste ragioni riteniamo indispensabile chiudere definitivamente il capitolo dei progetti di megacentrali particolarmente impattanti. Consideriamo quindi un successo del movimento di lotta, al quale abbiamo contribuito, l’aver bloccato lo sciagurato progetto di alimentare a carbone la centrale Enel di Porto Tolle. Occorre che la Regione non solo ne prenda atto ma s’impegni a realizzare un progetto alternativo per quell’area capace di produrre occupazione qualificata nel rispetto dell’ambiente. In tale contesto diventa finalmente improcrastinabile l’istituzione del Parco interregionale del Delta del Po, come peraltro previsto dalla legge nazionale. Questo per coniugare il contrasto ai cambiamenti climatici, attraverso la riduzione delle emissioni di CO2, la sostenibilità ambientale e i vantaggi economici-occupazionali.

Lo sviluppo di efficienza energetica e FER, infatti, rappresenta una straordinaria, e probabilmente irripetibile, opportunità di sviluppo qualificato per il nostro sistema produttivo basato sulla creazione di capacità scientifiche, tecnologiche e produttive; consente di abbattere le importazioni energetiche e delle nuove relative tecnologie, e costituisce una grande leva per la creazione di nuova e qualificata occupazione. Tale sistema energetico è il presupposto per avviare un modello alternativo di sviluppo, sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

Per accelerare la fase di transizione e coglierne appieno tutti i vantaggi è necessario incentivare in modo strutturale l’efficienza, il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili in tutti i settori: trasporti, logistica, riscaldamento, raffreddamento, efficienza degli edifici, dei cicli produttivi e dei prodotti e promuovere diversi stili di vita e di consumi. Allo stesso tempo, avendo l’obiettivo di raggiungere il 100% di produzione elettrica da rinnovabili, è necessario ridurre, fino ad azzerare, il ricorso alle fonti fossili.

La strada che porta alla produzione di energia sostenibile passa attraverso il progressivo superamento della produzione di energia concentrata in grandi impianti, in particolare alimentati da combustibili fossili che producono drammatiche ricadute in termini sanitari ed ambientali.

Il futuro sta nella pianificazione energetica a livello nazionale ed europeo, che deve promuovere la “piccola” generazione diffusa ed il coinvolgimento dei cittadini con azioni congiunte di informazione e sostegno al risparmio energetico . L’incentivo all’ efficentamento del costruito, inoltre, è in grado di mettere sul campo ingenti risorse pubbliche (vedi UE che destina il 5% dei suoi fondi proprio a tale scopo).

Per raggiungere questi obiettivi è necessario, altresì, promuovere ed incentivare l’innovazione tecnologica e la ricerca, nonché creare occupazione nella conversione ecologica del Paese seguendo un efficace “Piano Verde per il Lavoro”.

8– Inquinamento elettromagnetico

Nell’affrontare le tematiche inerenti i campi elettromagnetici e l’esposizione della popolazione la strada da perseguire è quella del principio di precauzione, sia per la radio frequenza (cellulari, cordless, wifi) che per la bassa frequenza (cabine elettriche, elettrodotti).

L’avvento della recente tecnologia di quarta generazione 4G (LTE) attualmente in fase di implementazione, sta richiedendo nuovi impianti e nuove antenne (molto più potenti di quelle usate per il GSM e per il 3G) e quindi l’individuazione di ulteriori luoghi adatti alla loro installazione, con conseguente incremento del fondo elettromagnetico.

Per governare i processi di installazione i Comuni devono essere aiutati a dotarsi di un Piano della Telefonia Mobile progettato da personale qualificato, diverso dalle ARPAV (istituzionalmente demandate alle attività di verifiche e controllo), che abbia i requisiti di prevenire le criticità e consenta di programmare le installazioni in modo da rendere minima l’emissione elettromagnetica per la popolazione. Un Piano che favorisca, ove possibile, i siti di proprietà pubblica che permettono, tra l’altro, di veicolare nelle casse comunali gli introiti dei canoni d’affitto per gli impianti.

Per quanto riguarda invece l’implementazione di reti wifi pubbliche si deve cercare di incentivare quelle in ambienti outdoor (piazze, parchi) riservando la connessione via cavo agli ambienti indoor (soprattutto scuole, biblioteche, aule studio).

9 – Parchi e biodiversità per curare la terra

Le aree naturali protette, e in particolare i parchi, sono luoghi di conservazione delle risorse ambientali, di riscoperta del rapporto profondo tra l’uomo e la natura, di valorizzazione del ruolo della scienza, di sperimentazione di una gestione territoriale alternativa all’attuale perché fondata non sulla violenza nei confronti della natura, ma sull’armonia: il parco come modello di gestione applicabile anche al resto del territorio. Quest’idea deve essere alla base dell’azione dei comuni e delle regioni: i numerosissimi comuni sul cui territorio si estende un’area protetta devono rivendicare il loro ruolo fondamentale di partecipazione alla gestione nel segno non della tutela di bisogni localistici, ma del diritto di contribuire alla realizzazione dell’interesse generale; la Regione, sia nell’iniziativa legislativa sia soprattutto nell’azione di governo, deve dar vita a efficienti sistemi che, per un verso, contribuiscano alla costruzione del sistema nazionale delle aree protette e siano in grado di guardare all’Europa e al mondo e, per altro verso, si inseriscano, come elementi di punta, nell’intero tessuto regionale.

10 – Politiche locali per un’agricoltura sostenibile

A livello locale si possono praticare scelte concrete a sostegno di un’agricoltura sana, legata al territorio, sostenibile: individuare aree per mercati agricoli a Km0, per prodotti da filiera corta e biologici, locali ad uso gratuito o affitto simbolico per i GAS, istituire corsi e lezioni su alimentazione e territorio, spreco di cibo; adottare strumenti urbanistici finalizzati al blocco del consumo di suolo agricolo e a sostegno del recupero dei “fabbricati rurali”; applicare nuove disposizioni contenute nel “Decreto del fare” per la vendita diretta presso locali dell’azienda agricola, sagre e fiere ; istituire e regolamentare gli “orti urbani” in aree pubbliche inutilizzate e degradate.

La Regione deve sostenere I comuni coordinando e promuovendo iniziative in materia di agricoltura, valorizzando il territorio comunale puntando ad un incremento di produzioni agricole, zootecniche e casearie, creando opportunità occupazionali.

L’agricoltura sociale, un insieme di processi e azioni che utilizzano le attività agricole per promuovere percorsi formativi e di lavoro, per accompagnare azioni terapeutiche, viene sostenuta e diffusa attivando convenzioni, non sempre onerose, con imprese e cooperative agricole per l’impiego di persone disabili o con disagio sociale e/o come forma di aggregazione sociale.

11 – Governo dell’ambiente globale. Il ruolo dei governi locali

Dobbiamo riconoscere alle Nazioni Unite e agli accordi e convenzioni ambientali globali un ruolo di rilievo per custodire il clima, gli oceani, la flora, la fauna, l’aria, il paesaggio. Tuttavia, in tutti gli ambiti, formali o informali, della discussione sull’ambiente globale (dalla desertificazione ai cambiamenti climatici, dalla biodiversità alle emissioni di inquinanti) c’è una forte esigenza di coinvolgimento dei governi locali e regionali, oltre che delle imprese e della società civile. In effetti, le città sono i luoghi in cui si concentrano le attività economiche e commerciali e i soggetti che subiscono gli impatti delle stesse attività. Occorre quindi un maggiore integrazione delle città nel governo mondiale dell’ambiente e una maggiore attenzione dei governi locali alle questioni ambientali globali.

Se le città sono parte del problema ambientale, devono essere anche la soluzione. Le città hanno compreso questo messaggio già molti anni fa, quando assunsero l’impegno volontario di ridurre il livello delle emissioni (Cities for Climate Protection Campaign). Da allora sono seguite numerose iniziative, tra cui il Cities for Climate Protection promosso da ICLEI e UNDP o le iniziative in ambito UE del Committee of the Regions, incluse quelle promosse da ARLEM – Assemblea regionale e locale euromediterranea. È ora giunto anche il momento, irrimandabile, di promuovere e gestire piani e programmi di adattamento agli impatti già visibili, o previsti, dei cambiamenti ambientali globali, con un impegno congiunto della politica, delle istituzioni, dell’economia, dei cittadini anche attraverso il rilancio delle Agende 21 locali.

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cambiare rotta per il Veneto

Cambiare rotta nel governo del Veneto significa svoltare rispetto alla politica delle grandi opere, per curare invece il territorio, con tanti interventi di manutenzione del territorio e del patrimonio pubblico. Dipanare e non infoltire il groviglio stradale, operando una scelta di campo a favore del trasporto pubblico. Riconvertire ad una visione ecologica e di qualità il sistema produttivo; darsi come priorità il contrasto alle nuove e vecchie povertà con interventi concreti. Potenziare i servizi sanitari, territoriali e specialistici, smettendo di spostare risorse sull’edilizia e non sui servizi e abbassando la pressione fiscale sui pazienti. Chiudere con la stagione dei favori e degli appalti agli amici e degli amici e fare del Veneto un laboratorio di trasparenza, sobrietà e legalità nell’utilizzo dei soldi pubblici.

Attorno a queste ed altre questioni si è cominciato un lavoro di costruzione di un programma per le prossime elezioni regionali, aperto a comitati, associazioni, forze politiche che intendono delineare una alternativa di governo della Regione e chiudere con il ventennio Galan-Zaia. Che continuerà con spirito di apertura e dialogo.
Un progetto di governo che parta dai programmi, per indicare come sia possibile, oltreché necessario, governare una Regione complessa e importante come il Veneto nel rispetto dell’ambiente, della cultura, della dignità del lavoro, dell’onestà.

Il territorio regionale è attraversato da fermenti sparsi, da battaglie locali grandi e piccole per difendere gli spazi liberi dal cemento, per evitare opere inutili e dannose per l’ambiente, per garantire la salute pubblica, per difendere i diritti dei cittadini e di chi lavora. Dentro quelle battaglie si delinea spesso un progetto alternativo di sviluppo che inverta le priorità rispetto alle logiche del profitto facile e a tutti costi che ha segnato profondamente e dolorosamente il Veneto degli ultimi anni. Logiche che hanno animato e costruito quel sistema di connivenze, favori e sperperi che la magistratura ha portato alla luce, ma che spetta alla politica chiudere e archiviare per sempre e evitare che possa invece rigenerarsi e riprodursi in altre forme.

Per far fronte alla multiforme crisi che sta attraversando il Veneto, che è assieme crisi sociale, ambientale, morale, serve un progetto all’altezza della complessità e della sfida e qualcuno disposto a portarlo avanti con generosità.
La nuova Regione dovrà riappropriarsi del compito proprio e utile della politica, governare e dare un senso di marcia ai processi, non assecondare supinamente logiche mercantili e di speculazione ritagliandosi fette di potere, favori e denaro a scapito dell’interesse collettivo.
La gestione e programmazione del servizio sanitario devono essere sottratti a logiche speculative e finanziarie, che tramite la finanza di progetto arricchiscono soggetti privati togliendo per decenni alle casse pubbliche risorse da destinare ai servizi e all’abbattimento dei ticket.
La pianificazione territoriale deve porsi l’obiettivo di fermare e riparare all’immenso consumo di suolo perpetrato in regione.
Le politiche di sviluppo devono partire dalla centralità del lavoro, della sua sicurezza e della sua dignità, contrastare delocalizzazioni e competizioni al ribasso sulla pelle dei lavoratori, puntare sulla qualità ambientale, sull’innovazione e sulle risorse territoriali.

Per questo ci sentiamo di chiamare a uno sforzo di unità e di sintesi coloro che si propongono un cambiamento reale del nostro Veneto.

Dino Facchini, coordinatore regionale
Sinistra Ecologia Libertà Veneto
Franca Marcomin, portavoce regionale
Verdi-Green Italia del Veneto
Renato Cardazzo, segretario regionale
Partito Rifondazione Comunista Veneto

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Tangentopoli veneta. Ora si faccia reset e si cambi modello di sviluppo

La buona notizia è che la magistratura è andata a fondo, rispetto a quanto emerso già lo scorso anno sulla creazione di fondi neri a San Marino attraverso false fatturazioni. Ed è andata a vedere dove e a chi sono andati a finire quei soldi accantonati nei sicuri e oscuri forzieri sanmarinesi e svizzeri. Un giro di 25 milioni di Euro che pare siano andati a finanziare alcuni politici e alcuni partiti di entrambi gli schieramenti. E lo si è fatto, come è giusto, senza guardare in faccia a nessuno.

La cattiva notizia è che il sistema corruttivo nell’ambito degli appalti pubblici, intrecciato in maniera bipartisan con ampie porzioni della politica regionale, in Veneto ha assunto una rilevanza strepitosa, interessando probabilmente la gran parte degli appalti pubblici più importanti degli ultimi anni. Niente di particolarmente nuovo, per chi abbia seguito con spirito critico la gestione del governo regionale degli ultimi lustri, ma ora la sanzione penale, se verrà convalidata in sede di giudizio, colora in maniera indelebile di una tinta fosca che non può che rattristare chi si ostina a coltivare una idea della politica e dell’amministrare al servizio degli altri e non di sé stessi. Speravamo di sbagliarci.

Da anni andiamo infatti dicendo che esiste in Veneto una certa “distrazione” della magistratura rispetto ad un sistema di potere, quello galaniano, già abbondantemente denunciato e anche ben illustrato, ad esempio dall’ottimo libro di Renzo Mazzaro “I padroni del Veneto”, del 2012, nel quale si leggeva: “C’è un partito degli affari che controlla gli appalti pubblici indirizzandoli verso i soliti noti?”, “in questo mare di soldi pubblici navigano pochi operatori privati”, “il fatto è sotto gli occhi di tutti: c’è un monopolio che non si spiega con l’assenza di concorrenza. Nasce qui il sospetto che il vantaggio acquisito sia frutto non di merito ma di favore. Un privilegio di pochi costruito con i soldi di tutti”. Insomma, chi voleva vedere poteva ben vedere quello che si stava profilando.

Ora si impone, a tutti, una riflessione profonda sul modello di sviluppo del Veneto di questi ultimi anni. Una sorta di Veneto da bere, propaggine in salsa veneta di un certo modello anni ’80, nel quale in nome del fare purchessìa e a qualsiasi costo ci si è preoccupati ben poco del fare in modo pulito e trasparente. La politica veneta prenda atto della fine di una fase di sviluppo contraddittoria e artefatta, che tanti guasti ha prodotto, e sappia fare reset. E ripartire con un nuovo inizio. Si colga l’occasione per ripensare allo sviluppo che vogliamo, alle opere pubbliche che davvero servono, a come cambiare radicalmente il modo di far politica nel nostro Veneto. Le elezioni regionali, che si tengano tra 10 mesi o prima, sarebbe bello che si giocassero su questo.

 

Luca De Marcomose-venezia-256123_tn

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Atalmi e l’unità della sinistra

Dal giorno dopo le ultime elezioni regionali, Nicola Atalmi ha proposto delle analisi drastiche sullo stato della sinistra, sottolineando l’esigenza di un cambiamento radicale, sia attraverso la rete che attraverso i giornali locali. Lo ha fatto con accenti di acrimonia nei confronti di Sinistra Ecologia e Libertà, del tutto gratuiti e dei quali ci sfugge il significato e l’utilità.

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Videolettera di Nichi Vendola agli elettori del VENETO

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Un voto per l’unità, la speranza e il cambiamento

Luca De Marco

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In occasione di queste regionali, si sono ricostituite alleanze di centrosinistra in quasi tutte le realtà. Riteniamo questo un passo importante, al quale devono presto seguire altri passi in avanti. Un paese umiliato da una classe di governo così squallida e prepotente ha bisogno che rinasca una speranza, che si costruisca al più presto una prospettiva di governo alternativa nei modi, nello stile e nei contenuti rispetto al coacervo delle destre oggi al potere.

Il nuovo centrosinistra da costruire non dovrà essere un’alleanza eterogenea e instabile come è stata l’Unione, dove le forze del centro si accordarono con la destra e fecero cadere il governo, né dovrà essere fondato sulla pretesa di qualcuno di poter fare da solo, perché si è visto che così non si fa che rafforzare la destra. Ci si metta al lavoro da subito, allora, dopo le regionali, per costruire il nuovo soggetto del cambiamento.

Sinistra Libertà Ecologia chiede il voto per dare forza a questa prospettiva unitaria, e per riempirla con i contenuti propri della sinistra, dell’ecologia e della libertà. Ci è riuscito Obama, ci sta riuscendo la sinistra francese: si può sconfiggere la destra, se le si contrappone una chiara alternativa di valori, di persone e di contenuti. L’era della rincorsa al centro va chiusa, e va aperta la stagione di un cambiamento radicale rispetto alla sempre più ripugnante politichetta imposta dalla destra berlusconian-leghista. Farlo è un dovere, perché è negli interessi degli italiani onesti, dei lavoratori e dei pensionati, dei giovani e delle donne, abbandonati a se stessi e alla crisi, mentre lorsignori manipolano le leggi per se stessi e per i propri interessi. E nell’interesse del pianeta, messo a repentaglio da una dissennata corsa allo sfruttamento delle risorse naturali che rifiuta il tema di una radicale svolta ecologica e di nuovi stili di vita.

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Chi immagina un paese migliore, lo vota

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Due anni fa una notte profonda è calata sul nostro paese. Convinta di aver conquistato, grazie a una seduzione bugiarda, il potere assoluto, la destra di Silvio Berlusconi ha creduto di potersi permettere tutto. E tutto si è permessa. Ha mentito e ingannato. Ha ignorato la realtà e le sue esigenze per sostituirla con uno zuccheroso fondale di cartapesta. Ha fatto dell’esercizio del potere una pratica quotidiana di licenza e abuso. Ha reclamato con fragorosa arroganza il diritto feudale all’impunità. Ha stracciato diritti, umiliato il lavoro, seminato intolleranza, coltivato egoismi, beffeggiato come ciarpame e impaccio ogni solidarietà.

Queste tenebre da cui siamo oggi circondati non sono il frutto di un’eclisse improvvisa e imprevedibile. Sono il prodotto di una lunga controrivoluzione culturale a cui moltissimi hanno messo mano. Si sono addensate nel corso di un quasi vent’anni, mentre giorno dopo giorno veniva circoscritto e infine cancellato ogni spazio pubblico, denunciato come intollerabile ciarpame ogni diritto, smantellata la centralità del lavoro, sequestrato e poi dissezionate in vacue pillole pubblicitarie quel bene comune essenziale che era e deve tornare a essere la politica.

L’illusione di invulnerabilità e impunità politica che ha alimentato in questi due anni l’orgia del potere berlusconiano è infondata. Scricchiolii sempre più numerosi e sempre più stridenti rivelano che lo scintillante castello del berlusconismo, fondato com’è sulle sabbie mobili di un colossale inganno, si avvia verso un rovinoso crollo. Ma uscire da questa ombra non sarà possibile senza restituire alle parole svuotate il loro spessore e il loro senso: senza riprendere possesso della politica e riportare la democrazia al suo significato di reale potere del popolo.

Queste elezioni possono segnare l’inizio della fine per chi, in nome del popolo, ha sottratto al popolo il diritto di decidere sulle proprie sorti e ha ridotto la libertà a sterile facoltà di scegliere tra vuoti prodotti di consumo politico.

E’ ora che quelle parole, popolo e libertà, si spoglino del carattere sinistramente ironico di cui li ha ammantati la destra e tornino alle loro origini, al loro eterno valore, al loro vero e profondo significato.

Nichi Vendola

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