Intervento del capogruppo di Sinistra Italiana Arturo Scotto alla Camera sulle comunicazioni del Governo sui fatti di Parigi:
“Signora Presidente, signori Ministri, Sinistra Italiana esprime il suo cordoglio profondo verso il popolo di Parigi, verso le famiglie delle vittime, verso tutti coloro che nel corso degli ultimi giorni hanno dovuto contare non semplicemente i morti e i feriti ma hanno dovuto fare i conti con le proprie biografie, con i propri tempi di vita, con i propri valori ed esprime il proprio cordoglio alla famiglia di Valeria Solesin, una nostra connazionale, su cui vorrei fermarmi un attimo perché lei rappresenta quella meglio gioventù che nel corso degli ultimi anni ha scelto di frequentare il mondo con il punto di vista della volontaria di Emergency dentro i luoghi della sofferenza provocati da quelle guerre che hanno prodotto tanta parte dei lutti che oggi si sono determinati.
E vorrei guardare a questa crisi con gli occhi di tante donne e di tanti uomini di professione musulmana: ha ragione chi lo diceva, ha ragione anche il presidente Cicchitto, che nel corso degli ultimi anni sono stati le principali vittime del Daesh. Quando andiamo a fare la contabilità dei tanti migranti che scappano, dei rifugiati, dovremmo cominciare a ricordare più spesso, prima ancora che interrogarci sui fenomeni, che scappano dalle guerre provocate dall’estremismo islamico del Daesh e da quelle dittature che tutti diciamo a parole di voler combattere.
Io credo che sia il momento della responsabilità: della responsabilità innanzi tutto nell’uso delle parole, perché abbiamo una funzione parlamentare e siamo un Paese che sta dentro un contesto difficile. Lo diceva prima il Ministro Gentiloni: non siamo fuori da questa crisi, siamo pienamente dentro i rischi di quel terrorismo che – come ha detto Anne Hidalgo – non ci toglierà la gioia di vivere, di continuare a vivere un’esistenza normale, a non procedere a quello scambio tra sicurezza e libertà che vorrebbero imporci coloro che scelgono di fare gli attentati a Parigi, ma anche quell’attentato sull’aereo russo che tornava da Sharm el-Sheikh o, cosa non citata da nessuno, l’attentato di tre giorni fa a Beirut, dove hanno perso la vita tante persone.
Quindi ci troviamo di fronte alla scelta di costruire un profilo come Paese, e di fare di più. Ha ragione, Gentiloni: dobbiamo fare di più; ma mettiamoci d’accordo su cosa significa fare di più. Io penso che fare di più oggi significa innanzitutto chiudere i rubinetti finanziari che stanno alimentando ancora oggi il Daesh, in queste ore ! Fare di più significa fare una scelta molto precisa: disarmare il Medio! E non come nel corso degli ultimi anni (penso agli ultimi due), continuare a trafficare le armi con le «petromonarchie», 741 milioni nel 2014, 880 milioni nel 2013: anche così si disarma il Medio Oriente, interrompendo quel flusso. Perché come scrivevano in un autorevole editoriale di Famiglia Cristiana due giorni fa, occorre forse cominciare a dire che qualche volta i soldi puzzano; e in questo caso puzzano tantissimo, perché puzzano di morte, alimentano le dittature e talvolta finanziano il terrorismo .
E occorre forse fare delle scelte un po’ più nette, anche rispetto ad alleati: alleati preziosi, nella NATO e ci auguriamo in futuro anche nell’Unione europea. Bisogna dire qualche parola in più, Ministro Gentiloni, sulla Turchia: perché nel momento in cui oggi si firmava una carta importantissima al G20 qualcuno continuava a bombardare le postazioni curde che sono in prima linea nella lotta contro il Daesh ! E questo a maggior ragione se sono vere, come sono vere, le cose che lei diceva rispetto alla liberazione di Sinjar: che significano una cosa ben precisa, che il Daesh comincia a perdere terreno e quindi sceglie di diversificare la sua strategia. Lì c’erano i peshmerga, ma c’erano anche i combattenti di quelle organizzazioni che ancora oggi sono dentro la lista internazionale delle organizzazioni considerate terroristiche, e che però, come il PKK, stanno combattendo sul terreno l’integralismo islamico.
Bisogna fare di più, costruire una coalizione larga, favorire il dialogo, come lei ha detto, tra Russia, Unione europea e Stati Uniti, e costruire, come si è cominciato a fare a Vienna, una transizione politica per superare la dittatura di Assad, ma evitare che si determini il vuoto, che si determini la tripartizione di quel Paese e la nascita e la stabilizzazione di uno Stato terrorista.
Occorre fare di più, a partire da scelte molto chiare sull’intelligence. Io la dico così, passatemi la battuta, siccome il terrorismo tende a portarci tutti in un eterno presente e quindi a cancellare la memoria – mi è venuto in mente leggendo i giornali, come tutti quanti voi, dove si diceva che gli attentatori di Parigi avevano scambiato informazioni attraverso una console della Playstation perché, probabilmente, altri strumenti erano facilmente intercettabili –, vorrei ricordare, proprio perché abbiamo il dovere di coltivare la memoria quando parliamo di guerra, che fece molto di più Alan Turing con il sistema di decrittazione di Enigma contro la Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale che le tremila tonnellate di bombe che furono scaricate inutilmente su Dresda. Forse occorrerebbe allora un investimento maggiore su questo terreno.
Occorrerebbe mettere al centro una politica che metta definitivamente la parola «fine» – lei lo diceva, Ministro, e lo abbiamo molto apprezzato – rispetto ad errori fatti in passato. Abbiamo dovuto attendere quindici anni per sentire Tony Blair dire che probabilmente è stato fatto un errore invadendo l’Iraq e che probabilmente se oggi ci troviamo il Daesh e il proliferare di integralismi la responsabilità è da rintracciare lì, perché l’illusione coltivata di esportare la democrazia sulle ali dei cacciabombardieri è stata all’origine del disastro con cui oggi dobbiamo tutti quanti confrontarci. Occorre da questo punto di vista fare una seria autocritica se vogliamo guardare avanti e battere il terrorismo insieme, reagendo come grande Paese in un’Europa che continua a coltivare quei valori di libertà, di uguaglianza e di fratellanza a cui non vogliamo rinunciare !”
Intervento di Peppe De Cristofaro al Senato:
“Signor Presidente, oggi più che mai vorrei usare qui parole di responsabilità, perché penso che dinanzi a fatti, che anche i Ministri ci hanno riferito, così drammatici e sconvolgenti non debba esserci alcuno spazio per strumentalizzazioni di sorta, e non debba esserci alcuno sciacallaggio, buono solo per lucrare sulle preoccupazioni di una opinione pubblica inevitabilmente impaurita.
Vorrei ovviamente cominciare anche io con le condoglianze e la vicinanza del mio Gruppo e del mio partito alle famiglie delle vittime e, in particolare, della nostra connazionale Valeria Solesin: è stato detto, una giovane donna, una giovane studiosa, una volontaria impegnata proprio nei luoghi della sofferenza che – penso proprio che abbia ragione la madre – mancherà moltissimo non solo alla sua famiglia, ma al nostro Paese intero.
Noi oggi piangiamo le vittime degli attentati di Parigi, come qualche giorno fa piangevano le famiglie delle centinaia di russi colpiti in un aereo e, in un’altra parte del mondo, i libanesi colpiti da un attentato in un supermercato nei quartieri meridionali di Beirut. Basterebbe ricordare qui, assieme a tutti gli altri, purtroppo proprio quei morti, cittadini islamici, per sgomberare il campo da una menzogna che non ha alcun diritto di cittadinanza, cioè l’equiparazione intollerabile tra terrorismo e Islam, che è esattamente quello che Daesh vuole far credere. Proprio perché invece la tragedia di Parigi ci colpisce con la stessa intensità che avrebbe avuto se fosse accaduta nel nostro Paese, credo che abbiamo il dovere di fare contro Daesh di più, molto di più di quello che abbiamo fatto fino ad oggi. E abbiamo anche il dovere di parlare un linguaggio che allo stesso tempo crediamo debba essere di responsabilità ma anche di verità.
Signori Ministri – lo dico in particolare, naturalmente, al Ministro degli affari esteri, per la sua competenza specifica – c’è stata un’ambiguità sul contrasto al terrorismo che adesso emerge con sempre più chiarezza; un contrasto, anche quello della coalizione internazionale, purtroppo spesso più di facciata che concreto, visto che troppi dei protagonisti anche di quella coalizione nei fatti continuavano ad alimentare il califfato sostenendolo, finanziandolo. Credo che dobbiamo intenderci proprio su questo punto: su cosa significa fare di più e su qual è il modo più efficace per combattere il califfato. Noi crediamo che fare di più significhi innanzitutto chiudere le transazioni finanziarie, interrompere i flussi di denaro relativi innanzitutto al mercato del petrolio (come è stato ricordato), a quello delle opere d’arte, a quello delle armi.
Proprio sulle armi crediamo che questa cosa significhi bloccare quei traffici anche con quelle monarchie che hanno alimentato il mostro e che vanno invece richiamate dall’intero mondo libero alle loro decisive responsabilità. Disarmare il Medio Oriente è ancora una volta riconoscere che chi combatte Daesh sul campo, quindi certamente i peshmerga, ma anche i curdi del PKK sono un interlocutore fondamentale e non un nemico, come invece ha continuato e continua a fare un Paese come la Turchia che, anche nelle ore immediatamente successive agli attentati di Parigi, ha continuato a bombardare le postazioni curde e non quelle dell’ISIS.
Noi non dobbiamo avere più alcuna esitazione nel dire che queste drammatiche ambiguità non sono più accettabili. Considero queste misure, questi elementi di chiarezza – e qui davvero sta, fino in fondo, la responsabilità di tutti quanti noi – molto più efficaci di qualunque intervento militare, che evidentemente non potrà essere risolutivo del problema, in particolare se privo di quel respiro strategico che manca da troppi anni e la cui assenza è stata, almeno negli ultimi due decenni, uno dei motivi dei tanti fallimenti che hanno prodotto le missioni di guerra. Respiro strategico significa – come è stato anche questa mattina autorevolmente ricordato su un quotidiano nazionale – definire il campo degli amici e dei nemici, favorendo il dialogo tra la Russia, gli Stati Uniti e l’Europa, ovviamente, senza, però, dimenticare la fondamentale interlocuzione, ad esempio, con quel mondo sciita, anch’esso sotto l’attacco di Daesh, a partire dall’Iran, elemento essenziale per aiutare a costruire quella transizione politica in Siria, che serve non solo a superare la dittatura di Assad, ma anche ad evitare che si determini un vuoto con la realistica possibilità, a quel punto, della tripartizione di quel Paese e la nascita di uno Stato terrorista.
Infine – e qui mi rivolgo prevalentemente al Ministro dell’interno – un’ultima questione, che riguarda quel lavoro decisivo e fondamentale, dal nostro punto di vista, di intelligence e di prevenzione. Credo che finora in Italia dalle forze di polizia e di investigazione sia stato fatto un buono lavoro, che evidentemente deve essere intensificato. Credo anche che occorra migliorare molto la cooperazione con le forze di polizia degli altri Paesi europei, elemento ancora una volta decisivo per il contrasto al terrorismo. Fare questo significa individuare, selezionare, parlare, ovviamente, con le comunità non fondamentaliste, con la stragrande maggioranza del mondo musulmano e non certo sparare nel mucchio, come vorrebbe, per l’appunto, una facile propaganda, attraverso quelle semplici equiparazioni che evidentemente fanno soltanto il gioco del califfato.
Occorre fare questo e farlo, Ministri, Presidente, anche e soprattutto senza cambiare la nostra democrazia. Io credo e noi crediamo che non piegarsi al terrorismo significhi soprattutto due cose: non piegarsi al loro orrore e quindi cercare il modo più efficace per distruggerlo per sempre; ma anche non cambiare noi stessi, non rinunciare non solo alle nostre abitudini – certo – al nostro modo di vivere, ai nostri valori, ma soprattutto alla nostra democrazia. Noi non diventeremo come loro, perché proprio questo è quello che vogliono loro.”