Archivi del mese: ottobre 2015

Lunedì a Castelfranco

Lunedì prossimo a Castelfranco Veneto si terrà un incontro al quale partecipa la deputata di SEL Serena Pellegrino, vicepresidente della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera, che dialogherà con Lorenzo Biagi, filosofo, sui temi dell’Enciclica di Papa Bergoglio “Laudato Si’”. Organizza la lista Civica La città delle Idee, alla quale partecipiamo. Presenta Alessandro Boldo.

volantino 26 OTTOBRE

L’enciclica di Papa Bergoglio “Laudato si’” è un documento che si rivolge non solo alla comunità dei fedeli ma a tutti gli abitanti del pianeta. In esso viene ampiamente argomentata una prospettiva di interpretazione della complessità del mondo attuale mirata ad uno sviluppo sostenibile e integrato.

Accanto a temi spiccatamente dottrinali e teologici, come la proposizione di un “Vangelo della creazione”, vi è una analisi dell’intreccio tra questione sociale e questione ecologica a livello planetario particolarmente significativa. Ciò che si propone è una visione dell’ecologia integrale e complessa, e non una visione settoriale o specialistica che si concretizza solo una serie di interventi tecnici a fini ambientali senza andare al fondo delle scelte e proporre prospettive alternative.

Non mancano proposte concrete di linee di intervento e di azione rivolte ai decisori pubblici, che riguardano il livello globale ma anche misure che si collocano su una scala ridotta. Ad esempio laddove si tratta della pianificazione pubblica, della valutazione di impatto ambientale e dei meccanismi  partecipazione, in un modo che a noi suona famigliare : “Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sull’economia locale, sulla sicurezza. I risultati economici si potranno così prevedere in modo più realistico, tenendo conto degli scenari possibili ed eventualmente anticipando la necessità di un investimento maggiore per risolvere effetti indesiderati che possano essere corretti. È’ sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate. La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione.”

 Non è difficile incontrare nella enciclica concetti, ragionamenti e proposti che appartengono alla elaborazione nostra e della sinistra ecologista ormai da anni, a partire dalla richiesta di  un nuovo modello di sviluppo e dalla “conversione ecologica” a cui richiama Bergoglio.

Ci sono dunque gli elementi perché si possa confrontare la visione proposta dall’enciclica papale con i temi della politica e le scelte che agli attori pubblici competono, e con la nostra politica in particolare.

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Giornata contro la povertà: serve un cambio di rotta per combattere le diseguaglianze

Sabato 17 ottobre, è la giornata mondiale per la eradicazione della povertà. La giornata è stata indetta dalle Nazioni Unite nel 1993, ed è ancora oggi una ricorrenza utile perché le disuguaglianze e le ingiustizie planetarie devono ancora essere oggetto di attenzione e di azione per rendere più equa la distribuzione delle ricchezze e garantirie il diritto ad una vita dignitosa a tutti gli esseri umani. Anche in Italia il tema della povertà è drammaticamente attuale: si calcola che rpsiano un terzo gli italiani in povertà assoluta, relativa o a rischio povertà. Non è più sufficiente avere un lavoro per essere sollevati dal rischio povertà, anzi secondo una recente ricerca di Unimpresa sarebbero oltre 6 milioni i lavoratori in disagio sociale.

In occasione della giornata del 17 la campagna “Miseria Ladra” lancia una mobilitazione nazionale a favore di alcuni provvedimenti, in particolare il reddito di dignità, alla quale SEL ha dato la propria adesione.

L’eccezione per la quale solo l’Italia e la Grecia, in Europa, non hanno delle misure universalistiche e strutturali contro la povertà deve finire. La proposta che SEL ha depositato in Parlamento fin dall’inizio della legislatura, e sulla quale ha raccolto le firme già nel 2012 assieme a vari soggetti, è quella di un reddito minimo garantito per le persone prive di lavoro o con lavoro precario, con un reddito annuo inferiore a 7.200 euro. Gestito dai centri per l’impiego e condizionato all’accettazione di eventuali offerte di lavoro dignitose e adeguate. Oggi le proposte in campo sono moltre, e ci sarebbe probabilmente la maggioranza in Parlamento per introdurre uno strumento universale contro l’esclusione sociale e contro la precarietà. La legge di stabilità del Governo Renzi preferisce purtroppo piccoli interventi per specifiche e limitate categorie, il tema invece è quello di redifinire il welfare in senso universalistico prendendo atto delle profonde mutazioni intervenute nella società.

La povertà la si contrasta non solo e non tanto con interventi assistenzialistici e settoriali, ma con una generale rivisitazione delle politiche sociali e con una impostazione generale dell’azione di governo e legislativa che metta al centro la lotta all’ingiustizia e alla disuguaglianza. Siamo invece ancora lontani da questa necessaria impostazione e si continua a voler confermare e aumentare le distanze sociali, come avviene ora con la eliminazione totale della tassa sulla prima casa, estesa anche ai cittadini più ricchi e ad abitazioni di lusso e superlusso, e come avviene quando si sottofinanzia il sistema sanitario, non si pone rimedio alla iniquità del sistema previdenziale, si sceglie per la scuola il modello aziendalistico, si riduce la progressività del sistema fiscale, si abbassano i diritti nel mondo del lavoro e si spalleggiano le posizioni più retrive del fronte industriale. Si colpiscono così e si deprimono quei meccanismi che consentono la riduzione delle disuguaglianze e la mobilità sociale, particolarmente urgenti in un paese ad alto indice di diseguaglianza e dove le disuguaglianze si riproducono di generazione in generazione e si cristallizzano all’interno di blocchi sociali separati. E’ un paese ingiusto quello dove il figlio dell’operaio ha un destino segnato che sarà inevitabilmente diverso da quello del figlio di un ricco, indipendentemente dai meriti e demeriti e dalle qualità del singolo individuo.

La lotta alla povertà ci richiama alla necessità di un cambio di rotta delle politiche che generano la povertà, ad un cambio di verso rispetto alla linea seguita dagli ultimi governi e ai dettami dell’ideologia dell’austerità dominante nell’Unione Europea, per avviare l’Italia e l’Europa verso una fase di sviluppo sostenibile e democratico e di coesione e integrazione sociale. Non si tratta di una virtù dei buoni ma di un dovere dei giusti.

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Costituzione: una riforma malfatta e dannosa da respingere al referendum

Con l’approvazione della riforma della Costituzione da parte del Senato, che dovrà essere confermata dalla Camera e poi sottoposta tra circa un anno a referendum confermativo, il nostro paese non fa un passo avanti verso la modernizzazione ma un passo avanti verso la confusione e un passo indietro sul terreno della democrazia e della partecipazione popolare alle decisioni pubbliche.

La riforma è tecnicamente fatta male, per quanto il Parlamento l’abbia migliorata rispetto alla proposta iniziale del governo e del ministro Boschi, irrisa da tutti coloro che masticano un po’ di questioni istituzionali come un compitino da prima elementare rispetto alla complessità e importanza delle questioni in ballo. Del resto questo è il governo che ha inteso liquidare sbrigativamente le commissioni di saggi ed esperti messi in campo dal Quirinale e dal Governo Letta per confezionare una riforma a misura dei propri interessi politici. E, del resto, la discussione su questa riforma si è svolta “in un pesante clima di antintellettualismo”, come ha ricordato la senatrice a vita Elena Cattaneo dichiarando il suo voto contrario, che ha voluto anche ricordare “quanto l’insofferenza per le competenze è stata la cartina al tornasole di stagioni politiche tragiche del passato anche recente”.

La riforma è fatta male, e non c’è infatti nessuno che la difenda per come è, ma la si giustifica con motivazioni estranee alla sua qualità ed efficacia, quali l’esigenza di dare un segnale di rinnovamento, o addirittura l’utilità della riforma per farci dare il permesso dalla Commissione Europea di aumentare di 8 miliardi il deficit pubblico. Per non dire delle battute da asilo infantile sui “gufi” e i “professoroni” e altre sciocchezze da imbonitore televisivo che promanano da Palazzo Chigi e sviliscono il livello del dibattito pubblico. Al fondo, la motivazioni dei sostenitori della riforma è il vecchio adagio “piuttosto che niente meglio piuttosto”, o il più nuovista “l’importante è fare, non importa cosa basta fare presto”. La modifica della Costituzione non è un provvedimento facilmente reversibile  e non è nemmeno una legge come un’altra ma è la legge delle leggi e la regola delle regole. Giustificare una approssimazione e una sua scarsa qualità interna in nome di altre esigenze significa elevare a norma fondativa del paese il pressapochismo e l’incompetenza, e produrre in prospettiva guasti profondi per molti anni

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Non è, purtroppo, solo l’insipienza a muovere i novelli costituenti, ma anche se non soprattutto l’astuzia nel congegnare un meccanismo istituzionale, composto da riforma del Senato e nuova legge elettorale, che intende incidere profondamente nel nostro sistema democratico riducendo gli spazi di partecipazione e verticalizzando il potere, potenziando a dismisura la maggioranza e il governo. Quella che si vuol chiudere non è la stagione della stagnazione, come recita la propaganda, ma l’esperienza storica e istituzionale di una democrazia a base parlamentare e a partecipazione diffusa, e di un sistema della autonomie locali che è uno degli assi portanti delle nostre istituzioni e un elemento fondamentale per l’esercizio dei diritti dei cittadini e per l’erogazione dei servizi. Questa riforma porta a completamento una deriva personalistica della nostra politica e un progressivo svuotamento delle sedi rappresentative che dura ormai da anni. Il passaggio dalla democrazia dei partiti di massa alla democrazia del pubblico, dalla partecipazione attiva alla passività dello spettatore televisivo, è un fenomeno che conosciamo da un ventennio e che non è slegato dal fatto di avere avuto come perno centrale della politica degli ultimi 20 anni l’uomo più ricco e il maggior proprietario televisivo di Italia. Anziché marcare una discontinuità con quella deriva post-democratica, approfittando anche della sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la legge elettorale del centrodestra (il famigerato “Porcellum”), per un soverchiante eccesso delle esigenze di “governabilità” che mortificava la rappresentatività democratica prevista dalla Costituzione, si è invece congegnata una nuova legge elettorale che riprende e peggiora il Porcellum e che amplifica fino all’estremo, attraverso il meccanismo del ballottaggio,  la personalizzazione televisiva della contesa democratica per il Governo. E la riforma del Senato, come anche la precedente riforma delle Province, ha al centro l’idea di togliere ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, restringendo questa facoltà all’interno di pochissimi partiti. L’altra idea forte è quella di ridurre il più possibile meccanismi di controllo e di contrappeso, e di diffusione del potere a livello territoriale, non tanto per “snellire i procedimenti”, come dice la propaganda, ma per accentrare quanto possibile tutti i poteri in un solo partito e quindi, per come siamo messi oggi, in un solo uomo, senza nemmeno il bisogno che sia d’accordo la maggioranza dei cittadini, perché il meccanismo elettorale consente ad una minoranza di farsi maggioranza pigliatutto. Tutto questo non è indifferente e lontano rispetto alla vita quotidiana delle italiane e degli italiani, perché i processi neoautoritari non sono funzionali a politiche di giustizia sociale e di crescita sostenibile e collettiva, ma servono a eliminare gli ostacoli a politiche antisociali e promuovere gli interessi di pochi contro gli interessi di tutti. Tempo fa, del resto, era stato messo nero su bianco da un documento della JP Morgan, dove si diceva che le costituzioni antifasciste dei paesi del Sud dell’Europa erano di ostacolo al dispiegarsi delle riforme neoliberiste che tanto piacciono ai padroni della finanza e tanto fanno soffrire i lavoratori, gli studenti e i pensionati.

Di fronte al disegno complessivo che viene avanti con queste modifiche istituzionali, che si accompagnano poi a cosiddette “riforme” che, dalla scuola al mercato del lavoro, hanno una chiara impronta conservatrice, conviene prepararsi da subito alla campagna referendaria, per dire No a questa manomissione della nostra Costituzione. Costruiamo dei comitati tra tutti coloro che hanno a cuore la qualità della democrazia e considerano la Costituzione un buon programma da attuare e non un ferrovecchio da rottamare.

Luca De Marco

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La povertà è ingiustizia

Povertà e ingiustizia

I coordinamenti provinciali di Possibile e Sinistra Ecologia Libertà organizzano per lunedì 12 ottobre un incontro pubblico presso la sala convegni dell’Hotel Ca’ del Galletto a Treviso sul tema “Povertà e ingiustizia. Ridurre la disuguaglianza, eliminare la povertà”, con la partecipazione di Marisa Nicchi, deputata della commissione Affari Sociali della Camera, Ivan Bernini, della segreteria confederale della CGIL di Treviso, il sociologo Vittorio Filippi e Domenico Zanata, consigliere comunale a Treviso. Interverrà anche Roberto Grigoletto, assessore al sociale al comune di Treviso, e sono state invitati associazioni e sindacati.

L’iniziativa si colloca a pochi giorni dalla giornata mondiale per l’eliminazione della Povertà, indetta dalle Nazioni Unite dal 1993 e che cade il 17 ottobre. Un obiettivo ancora da cogliere a livello mondiale, e che si declina anche all’interno dei paesi più sviluppati dove aumenta la disuguaglianza tra i più ricchi e la massa degli impoveriti.

Come denuncia la campagna “Miseria Ladra”, che sabato 17 promuove una mobilitazione nazionale su questi temi, nel nostro paese sono più di 8 milioni le persone in povertà relativa e 4,5 milioni in quella assoluta. Un quarto della popolazione secondo i dati Eurostat è in povertà, mentre un terzo ne viene minacciata.

Il rischio di rimanere in condizioni di indigenza nel nostro paese è tra i più alti d’Europa: 32,3% rispetto alla media del 26%. Sono più di un milione i minori indigenti. Anche la dispersione scolastica ha subito un impennata, arrivando al 17,6% contro il 13,5% della media europea. Sul versante occupazionale viviamo una crisi senza precedenti: oltre 3 milioni di disoccupati, più del 40% di disoccupazione tra i giovani con punte ben oltre il 60% al sud, 4 milioni di precari.

Obiettivo della serata è dunque indicare come priorità nelle scelte pubbliche la lotta alla disuguaglianza e alla povertà. Sono tante le misure da intraprendere per assumere come prioritaria la lotta alla povertà e alla disuguaglianza sociale, e che messe assieme costituiscono un inversione di rotta rispetto alle politiche pubbliche degli ultimi anni del nostro paese e all’impostazione di politica economica che le istituzioni europee spingono i paesi ad intraprendere all’insegna dell’ideologia dell’austerity: prevedere una misura universale (reddito minimo garantito) per il contrasto alla povertà e alla precarietà, come accade in tutti i paesi europei ad eccezione di Italia e Grecia, applicare la progressività alla tassazione come meccanismo di redistribuzione, investire sul welfare anziché procedere nella logica dei tagli che oggi colpisce duramente le finanze degli enti locali, compromette le politiche sociali, riduce la qualità e l’efficienza del servizio sanitario, investire sul sistema formativo come fattore di mobilità sociale che rompa la cristallizzazione tra le classi sociali, dove i figli dei ricchi vanno avanti e i figli dei poveri restano poveri.

La povertà non è un male necessario, né un portato inevitabile dell’economia e dello sviluppo, né una situazione immodificabile. E’ il frutto di scelte e di politiche ben precise e perciò si può fare di più, molto di più, per ridurre la disuguaglianza che nel mondo divide la parte ricca dalla parte affamata e all’interno dei paesi, in particolare alcuni come l’Italia, allarga la forbice tra i più ricchi e la massa di chi si arrangia. La crisi non deve ricadere sempre sui più deboli e i meno responsabili delle iperspeculazioni finanziarie e della subordinazione dell’economia alla finanza che sono all’origine dell’ormai troppo lungo ciclo della crisi.

La lotta tra i poveri italiani e i poveri del mondo è uno dei peggiori stratagemmi messi in campo dalla destra per non mettere in discussione i meccanismi di riproduzione e aumento delle disuguaglianze. Alla lotta tra poveri va invece sostituita una lotta dalla parte dei poveri per chiedere più giustizia.

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